Ultimo giorno in America.
Ultimo giorno a New York.
E’ il giorno libero dello study tour e c’è tutta una città ancora da scoprire e vedere.
Nonostante la serata impegnativa al Hudson club del giorno prima, riesco a svegliarmi per le nove di mattina mezzo tumefatto dallo Jagermaister e dalla stanchezza e per le dieci sono fuori.
Inizia la maratona.
1° Tappa – Little Italy: questo quartiere è ciò che rimane della lontana immigrazione italiana del secolo scorso e ovunque una persona si giri, può leggere cartelli in italiano e insegne di ristoranti che invitano ad assaggiare la miglior pasta di New York o, addirittura, i migliori cannoli siciliani del pianeta.
Per un americano la cosa potrebbe anche essere plausibile, viste le pessime abitudini alimentari a base di hamburger e Mcdonald, ma per un italiano come me, cresciuto a tagliatelle e tortellini, sinceramente la cosa fa un po’ ridere.
Ma siamo negli Stati Uniti e non bisogna stupirsi di niente.
2°Tappa – World Trade Center: La maratona prosegue, continuando il nostro percorso oltre Chinatown, fino ad arrivare al downtown e al Financial district.
Il luogo è famoso e ovunque mi giri riconosco qualcosa di familiare.
Il perché è molto semplice: da queste parti 12 anni fa ci furono i due attentati alle Torri Gemelle.
L’avvicinamento al 9/11 Memorial e al World Trade Center ha un non so ché  di mistico e guardando i grattacieli, osservando la Freedom Tower eretta al posto delle Twin Tower, cerco di rivivere nella mia testa, tramite i miei occhi, quei tragici momenti.
Immagino i passanti, le persone nei grattacieli, gli automobilisti mentre assistevano attoniti allo schianto dei due aerei e poi ai crolli delle torri, immagino gli urli e le fuga, le sensazioni cercando di guardare alla stessa maniera nella quale avevano potuto vedere loro il tutto. Osservando i grattacieli e i segni che si possono ancora vedere oggi, a dodici anni di distanza.
Stessi scorci, stessi punti di vista, stesse panoramiche.
E quando arrivo alla scritta commemorativa: “May we never forget”( Potremo mai dimenticare) un po’ mi si stringe il cuore….
Per accedere alle piscine/cascate costruite al posto delle Twin Tower ci sono una serie di controlli da fare e le code sono molto lunghe, ma quando arriviamo al sito dove un tempo si innalzavano le torri, mi rendo conto di due cose: gli americani sono tutt’ora feriti da ciò che avvenne in quel fatidico giorno e le cicatrici si possono ancora vedere dappertutto. Non è stato un semplice attentato, ma un attacco a tutto ciò che vuol dire America e Stati Uniti.
La seconda cosa è più amara, nonostante non mi stupisca più di tanto: gli americani sono riusciti a creare un business, al pari della Statua della Libertà, vendendo il merchandising del 11/9. Una tragedia divenuta fonte di lucro. Pietoso per quanto ridicolo.
3° Tappa – Wall Street/ Statua della libertà: La giornata prosegue con una visita a Wall Street.
Si dice che New York sia famosa perché ovunque hanno girato un film e che spesso si può capitare di incappare, senza nemmeno volerlo, in un set di qualche film.
Credevo fosse una esagerazione, ma è quello che mi è capitato.
Mentre osservano Wall Street e pensavo a quanti soldi potessero girarci dentro(non molti visti i tempi) noto di essere finito senza manco accorgermene in mezzo al set del nuovo film delle Tartarughe Ninja.
E così mi ritrovo fra comparse, attori vestiti da soldati brutti e cattivi, riflettori, luci, telecamere e staff tecnico.
Mancava che mi chiedessero di recitare come comparsa e sarebbe stato il colmo.
Ad ogni modo dal set delle Ninja Turtle, dopo una toccata di palle alla statua del toro di Wall street( dicono che porti soldi, ma stranamente i 3/4 delle persone che le toccavano erano donne…..chissà perchè?) arrivo finalmente alla fine di Manhattan e di fronte a me c’è solo il mare.
Con in lontananza una piccola statuina con una corona sulla testa e una torcia in mano: la statua della Madame Libertà.
Cazzo per la immaginavo molto più grande……
Per visitarla occorrerebbe salite su un battello con destinazione Liberty Island, ma non ho tempo e quindi tocca declinare.
D’altronde, dopo l’uragano Sandy, la statua è in fase di riparazione e non è possibile nemmeno salirci.
Che sfiga….
4° Tappa – Brooklyn- Skyline:  Non so come, ma riesco ad arrivare al ponte più famoso del mondo.
In meno di mezza giornata sono riuscito ad attraversare mezza Manhattan e la maratona può quasi giungere al termine.
Manca solo la traversata verso il quartiere di Brooklyn per una panoramica della skyline( il panorama della città) al tramonto, vista da lontano.
Arriviamo al ponte, eppure non possiamo accedervi.
La polizia ha chiuso il ponte e nessuno può passare.
Motivo: un pirla ha deciso di arrampicarsi sui cavi del ponte per suicidarsi.
Che dire? Benvenuti a Manhattan.
Fortunatamente il matto viene acciuffato e possiamo attraversare il ponte,
E’ quasi il tramonto e io ho un appuntamento con una delle panoramiche più belle del mondo.
Devo correre.
Fortunatamente arrivo in tempo, prima che il sole fosse tramontato e in men che non si dica, mi si erge davanti tutta la bellezza e l’imponenza dei grattacieli, del mare, del ponte in un complesso che mi lascia di stucco e toglie di colpo il fiato.
Bellissimo assistere a tutte le varie fasi del tramonto con il sole che lentamente scende dietro i grattacieli, fino ad aspettare la notte per assistere all’accensione delle luci dei palazzi.
Un freddo da paura, ma ne è valsa veramente la pena.
5° Tappa – 230 Club: Morto, stanco, a pezzi, distrutto.
Ci sono mille modi in cui vi potrei descrivere lo stato in cui mi ritrovavo a fine giornata ma, nonostante ciò, non potevo arrendermi.
Era l’ultima notte in America prima del viaggio di ritorno: bisognava celebrarla come si deve.
Avevo sentito parlare di un locale in cima ad un grattacielo con la panoramica sulla città di notte di nome 230 club: ci sono stato. Un posto da togliere il fiato.
Immaginatevi un locale in cima ad un palazzo con una terrazza con vista sull’Empire State Building. Da togliere il respiro.
Per non parlare di strani impermeabili rossi che venivano serviti all’entrata della terrazza per coprirsi dal freddo.
Immaginatevi della musica, dei drink, mille persone vestite da monaci di qualche strana setta religiosa e un panorama da paura.
Benvenuti per la seconda volta in America. E si capisce perché non sia come l’Italia.
Vi scrivo ancora incredulo della giornata e di tutte le cose che sono riuscito a fare.
Non immaginavo che sarebbe stato possibile.
Domani si riparte.
Rammarico. Tristezza.
E una voglia quasi matta di strappare il passaporto e rimanere a vivere negli Stati Uniti.
Ma come diceva un detto: “Non si può mai essere felici, se non si ha un posto dove tornare.”
Io una casa ce l’ho.
Ed è ora di tornare.