Come si dice: Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi.
Mai fu detto più vero.
E io quest’anno, tanto per non contraddire il detto popolare, ho deciso di trascorrere la Pasqua tra minacce di attentati, meraviglie mesopotamiche, kebab e polvere di deserto.
In parole povere, ennesimo giorno in Iraq.
Giuro, se due mesi fa  mi avessero detto: “Iacopo, tu a Pasqua sarai in Iraq”, li avrei presi per pazzi.
E probabilmente, per essere da queste parti, forse il vero pazzo sono io.
Ma si sapeva già da un pezzo.


IL VIAGGIO A SULAYMANIYAH:

Il menù della giornata prevede: rotta verso Sulaymaniyah per intervistare la coordinatrice di un progetto italiano per la promozione e la tutela del patrimonio culturale del Museo Mesopotamico cittadino, tramite attività come la numismatica, la topografia, la cartografia e la anastilosi( il rimettere insieme i pezzi di un’opera per capirne la forma originale) e, in particolar modo, focalizzandosi sulla creazione di un museo moderno e all’avanguardia nella struttura e nelle sue iniziative.
Premessa: il viaggio verso Sulaymaniyah può essere fatto in due modi diversi, passando tramite le montagne,
e impiegando quasi tre ore e mezza per arrivare a Sulaymaniyah, oppure passando tramite Kirkuk e impiegarci solo due ore.
Il problema è uno solo: ho poco tempo e non posso sprecarlo, quindi decido di prendere la strada più breve per giungere a destinazione.
Si passa per Kirkuk.
Unico inconveniente? Due giorni fa c’è stato un attentato a Kirkuk, in quanto terra di confine e di contesa per le risorse petrolifere (è la città più ricca al mondo per quantità di petrolio nel sottosuolo) tra i curdi e gli iracheni.
Il driver mi garantisce che non correremo nessun rischio e che passeremo, tramite l’autostrada, solo nella periferia di Kirkuk; essendo lo stesso autista del mio viaggio a Duhok, decido di fidarmi.
Il viaggio sembra filare liscio e tutto sommato, nonostante la domenica qui sia il nostro corrispettivo lunedì, non c’è molto traffico, ma quando arriviamo a Kirkuk, il cuore inizia a battermi forte.
Silenzio di tomba nella macchina.
Potrebbe succedere di tutto in qualsiasi momento. Un’autobomba, un kamikaze, un colpo di proiettile vagante.
Passiamo tramite il ponte che si affaccia sulla città di Kirkuk e, lo giuro, non mi ero mai così avvicinato alla guerra. Ero di fronte allo spettacolo della morte e della sofferenza, proprio sotto i miei occhi.
Passo da spettatore silenzioso. Non succede nulla, grazie a Dio, Allah, Visnù o chi per lui.
Grazie a qualche divinità che preferisce rimanere anonima, i terroristi avevano altro da fare in quel momento.
Piccola annotazione: al check-point di Sulaymaniyah, il mio driver, con un vero colpo di genio, mi spaccia per un giornalista italiano inviato per intervistare la moglie di Jalal Talabani, presidente dell’Iraq, che vive lì,
Il poliziotto abbocca e io salto un’ora di controlli, arrivando puntuale all’appuntamento con la dottoressa.
Furbi questi curdi….. con quello che li pago.
Finalmente arrivo al Museo Mesopotamico di Sulaymaniyah, dove inizio l’intervista con la dott.ssa Bizzarro: mi parla del suo progetto e di come esso sia finanziato solo ed esclusivamente dal Ministero degli Esteri italiano e di come il governo curdo, al momento, non abbia ancora versato neanche un centesimo.
Il progetto, diretto dal prof.re Carlo G. Cereti e coordinato dall’Università della Sapienza di Roma, si dirama attraverso numerose attività che possano portare alla riqualificazione di un patrimonio Unesco come il Museo mesopotamico di Sulaymaniyah, nella quale sono custodite pagine dell’antichissima storia di Gilgamesh e parti del rivestimento del famosissimo monumento di Paikuli( una iscrizione commemorativa persiana).
L’obiettivo del progetto è di lasciare un segno tangibile della propria attività, rendendo autonomo il personale addetto del museo e migliorando la funzionalità e la fruibilità di esso da parte dei visitatori.
Come con l’intervista a Irene Zanella, mi rendo conto di come il governo italiano sia impegnato sotto il punto di vista culturale e porti avanti molti progetti che vadano al di là dell’impegno militare e che giungano a risultati materiali per il miglioramento della vita e del patrimonio di beni locale.
Siamo italiani. Abbiamo diritto di tutelare i patrimoni dell’umanità in tutto il mondo.
Finita l’intervista, riparto subito alla volta di Erbil, il tempo a mia disposizione scarseggia sempre di più e, tutto sommato, a Sulaymaniyah non è che ci sia poi molto altro da vedere di bello.
L’unico problema: ripassare di nuovo per Kirkuk.
Ma questa volta, al contrario dell’andata, la strada, causa lavori di manutenzione, passa per un piccolo tratto attraverso Kirkuk, e per qualche Km, mi ritrovo nel mezzo dell’Iraq.
Panico totale. Palpitazioni a mille.
Ho sconfinato e, fortuna che al check-point di sicurezza( tutto il Kurdistan è pieno zeppo di posti di controllo) non mi abbiano chiesto il documento, vedendomi straniero, altrimenti sarebbero stati uccelli senza zucchero. Tradotto: cazzi amari.


LA EL DORADO CURDA NON ESISTE

Nel pomeriggio, tornato ad Erbil, intervisto altri due imprenditori italiani giunti ad Erbil da molti anni: Walter e Fabrizio Favilla, addirittura Walter, il padre, è stato il primo imprenditore italiano a giungere ad Erbil e, già nel lontano 1980, lavorava in Iraq, arrivando persino a conoscere Saddam Hussein in persona.
Non riesco a capire molto bene cosa faccia, ma a quanto sembra, è un factotum di Erbil che ha le mani in pasta un po’ con tutto: arredamenti, istallazioni di cucine, fornitura di macchinari e cialde per il caffè.
Parlando con lui, scopro i lati sporchi della storia irachena e curda, cose che neanche il giornalista di ieri aveva avuto il coraggio di dirmi, ad esempio di come, prima della guerra, l’Iraq fosse un paese prosperoso e che solo con la guerra il paese fosse precipitato nel caos, oppure di come i curdi fossero stati estremamente felici della morte di Saddam Hussein e della caduta di Baghdad, oppure di come lo sviluppo economico di Erbil abbia raggiunto livelli pazzeschi in pochissimo tempo, ma abbia, di conseguenza, impigrito e viziato i curdi, rendendoli arroganti e rendendoli simili agli sceicchi degli Emirati e di conseguenza propensi ad un futuro crack finanziario.
L’unica cosa che li può tutelare( alias parare il culo) : la quantità incredibile e sconcertante di capitale economico e finanziario derivante dal petrolio.
Ma lo scoop della giornata, la notizia che cambia tutte le mie prospettive, l’asso nella manica che da senso al mio reportage, che rivolta completamente tutte le mie convinzioni, arriva dalle ultime parole del sig.re Favilla: la El Dorado curda non esiste.
Ci sono i soldi, ma non è il paradiso che tutti credono.
Purtroppo il sig.re Walter deve andarsene, ma nello stesso istante giunge il figlio, Fabrizio Favilla, manager di una azienda medica, per continuare la spiegazione, approfondendo così le parole con le quali mi aveva lasciato il padre.
Erbil e il Kurdistan sono veramente ricchi e le possibilità di investire ci sono, ma l’amara verità è che ciò non vale per tutti i settori: molti imprenditori, tra cui moltissimi italiani, giunti dopo il boom economico del 2006, sono arrivati convinti di poter fare affari facilmente e di fare soldi a palate, ma la realtà si è rivelata essere mooooolto differente.
La maggior parte di loro è arrivata per poi tornare a casa con la coda fra le gambe. Senza più un soldo.
La notizia mi lascia basito ma mi rendo conto di essere di fronte ad una rivelazione importante che sfata il mito attuale, raccontato da molti giornali italiani, che Erbil e il Kurdistan iracheno siano diventati un pozzo di denaro dove poter venire a cercare fortuna e fare soldi. Tutte credenze, tutte bugie, tutte illusioni.
Tecnicamente parlando: “baggianate”
La verità è che settori come quello energetico, quello ospedaliero, della fornitura di “petrol services” e della progettazione vanno forte, ma in altri settori, come quello dell’arredamento e dei servizi, il potere è in mano a compagnie turche, giunte molto prima degli europei, e che detengono il monopolio del mercato.
Non c’è spazio per nessun’altro.
Molti imprenditori italiani sono giunti senza soldi sperando di farli: sono falliti miseramente.
Molti imprenditori italiani sono arrivati in Kurdistan pretendendo lavori belli e pronti: non glieli ha dati nessuno.
Troppa arroganza.
Molti imprenditori credevano di venire qui e trovare allocchi pronti ad essere gabbati: sono stati gabbati loro, al contrario. Gli imbecilli non esistono in nessuna parte.
Forse in Italia.
Molti imprenditori italiani sono giunti qui con la convinzione di esportare il loro modello italiano: hanno toppato clamorosamente, in quanto completamente fuori mercato.
L’idea di sovrapprezzare i prodotti come avviene solitamente in Italia, facendo affidamento sul fatto che sia “made in italy” non ha portato da nessuna parte, solo al fallimento.
Agli iracheni e ai curdi interessa la quantità, non la qualità.
A loro interessa che il divano sia comodo, non che sia firmato Divani & Divani.
La verità è che le risorse e le possibilità ci sono in Iraq e in Kurdistan, ma bisogna saperle comprendere e sfruttare con progetti adeguati e sensati. Andare allo sbaraglio è la rovina.
Bisogna comportarsi bene e rispettare le regole dei curdi per essere ricoperti d’oro, giungere con le convinzioni e le presunzioni, specie per gli italiani, equivale a ricevere un gentile calcio nel sedere e tanti saluti a tutti quanti.
In parole povere: nessuna El Dorado, ma solo una nazione ricca di opportunità in costante crescita.


I GIOVANI DI ERBIL:

Concludo la mia giornata, intervistando finalmente il mio contatto locale, Shireen Aljaff, studentessa di francese di origini arabe-curde che mi racconta di come i giovani vivano la quotidianità irachena e di come possa essere difficile essere donne in Iraq.
Mi parla di rapporti impari fra uomini e donne, di valori come la verginità fino al matrimonio, del suo desiderio di scappare, di come sia bello vivere qui, ma con i dovuti limiti e restrizioni.
La guardo negli occhi e prima di salutarla dico:
” Io scriverò una storia su di te.
E ti inviterò in Italia.
Una persona come te è sprecata qui.
Non è il suo posto. Credimi”
Credo che questo video, potrà rendervi meglio l’idea.
Scusatemi per l’inglese pessimo, ma ormai ho imparato a parlare solo arabo.