Potrei provare a scrivere altre mille volte questo ultimo pezzo del mio viaggio e, probabilmente, non sarei comunque in grado di scrivere tutto, trasmettere ogni singolo istante del mio incredibile viaggio, riportare ogni piccola sfaccettatura.
Sarebbe impossibile, ma, in qualche modo, devo pur provarci.
Mi ritrovo finalmente a casa , a Fermo, tra le mura domestiche e già sento la mancanza di tutto: la hall dell’hotel, dove facevo le tre di notte scrivendo il diario e registrando le impressioni, mi mancano le interviste, il lavorare a tutte le ore sul pezzo, rielaborando le informazioni riportate sul taccuino, mi mancano le imprecazioni contro i tassisti e il mettere in gioco me stesso con gente che mi prendeva sul serio, nonostante la mia giovane età.
Sarà stato un viaggio breve, eppure mi ha segnato. Lo ammetto.
Ho imparato molto e avuto la fortuna di conoscere gente veramente in gamba, persone con una propria storia unica e delle vite pazzesche, ma d’altronde, per vivere in un posto come l’Iraq, qualcosa di straordinario bisognerà pur averlo, no?
Devo constatare che, rileggendo il Briefing iniziale della mia missione in Kurdistan, il mio viaggio è stato completamente diverso e, rispetto alle mie aspettative, è andato anche oltre le mie più rosee aspettative.
Ero partito con la convinzione che il mio contatto locale, Shireen, sarebbe stato fondamentale durante tutta la mia permanenza in terra irachena, per poi scoprire che, in realtà, lei non avrebbe potuto aiutarmi quasi per niente. Il motivo: perché era una donna.
Dovete sapere, che le donne in Iraq non godono di molte libertà: non possono uscire da sole, non possono frequentare un ragazzo, a meno che non diventi il suo futuro marito, non possono andare a ballare o prendere qualcosa in un bar, perché, se lo facessero, verrebbero etichettate come donne dai facili costumi.
E, sembra quasi paradossale, ma questi vincoli non vengono imposti dalla religione, bensì dalla società stessa.
In confronto alle ragazze occidentali, tutto un altro mondo.
Devo ammettere che, se non fosse stato per il prezioso aiuto del consolato italiano di Erbil, il mio lavoro sarebbe andato in malora e, quasi sicuramente, avrei passato le giornate in albergo a girarmi i pollici.
E invece, destino ha voluto, che tutte le cose andassero per il verso giusto e che sia riuscito ad incontrare più di 14 imprenditori e figure politiche durante il mio viaggio e ad intervistarle tutte quante, approfondendo diverse tematiche come il contributo italiano alla crescita sociale e culturale del Kurdistan, fino alla quotidianità degli abitanti di Erbil per arrivare a documentare la vera natura ed essenza della “el dorado” curda.
Il processo è stato a dir poco sorprendente: ero partito con l’idea di testimoniare l’altro lato dell’Iraq, una nazione fatta di quotidianità e benessere, oltre la guerra e gli attentati, per poi spostare la mia attenzione sull’analisi del contributo italiano allo sviluppo della società curda per poi arrivare, in fine, a scrivere di come il Kurdistan non sia una terra di conquiste per facili imprenditori alla ricerca di guadagni semplici e rapidi.
Se ci pensate bene, tutto ciò è avvenuto in una sola settimana, il che rende la cosa a dir poco sensazionale.
Ad ogni modo, ero giunto con l’idea di scattare qualche foto e realizzare 2-3 interviste e ora mi ritrovo con più di 180 foto, un taccuino pieno zeppo di informazioni e ben 11 video-interviste a personaggi come il console italiano di Erbil o l’imprenditore italiano più anziano dell’intero Iraq.
Sono andato oltre le più rosee aspettative, ma, devo dire, che ho rischiato anche parecchio.
Mi sono preso un bel po’ di rischi, come quello di passare per Kirkuk, anzichè per le montagne, pur di arrivare a Sulaymaniyah nel minor tempo possibile oppure quello di avventurarmi per le montagne a nord di Erbil, sfidando le impervie strade di montagna irachene e gli automobilisti dalla guida folle in giro durante il Venerdì festivo.
Ho rischiato di fare un frontale con una macchina, ho rischiato di essere arrestato a Kirkuk, perché sprovvisto di visto iracheno,ho rischiato di precipitare dalle mura della cittadella di Erbil, solo per scattare delle foto in esclusiva, eppure sono ancora qui e, grazie a Dio, è andato tutto bene.
Forse, potrei tornare altre cento volte in Iraq, e mai le cose potrebbero andare nuovamente come sono andate questa volta.
Lo ammetto: io che sono perseguitato dalla sfiga, per una volta ho avuto un culo della madonna.
Ora che è tutto finito, ora che tutto è passato, guardo le cose per quello che sono state veramente e posso garantire che è stata un’esperienza dal valore inestimabile per me e per il mio sogno di diventare un giornalista.
Credetemi: era la prima volta per me. Ci sono riuscito.
E ritrovarmi ad intervistare persone, anche in altre lingue come l’inglese e il curdo, senza averlo mai fatto prima, girare dei video e poi caricarli la sera su youtube, tenere un blog e aggiornarlo con contenuti in maniera costante, senza saltare nemmeno un giorno, fare servizi fotografici con una macchina fotografica, prendere appuntamenti e prendere nota su un taccuino, mentre gli intervistati parlavano, sono state tutte esperienze nuove per me ma devo dire che, tutto sommato, sono riuscito a cavarmela.
E’ stata una immensa faticaccia, ma lo rifarei nuovamente. Da capo.
Ora sono a casa ed è arrivata la parte più difficile: scrivere gli articoli per il Corriere della sera, rielaborare il materiale, buttare giù le bozze per il reportage dello Iulm. Sono un po’ in difficoltà, ma spero di farcela.
Gli attestati di fiducia non mancano e non sono mancati durante il viaggio, tutte le critiche sono state ben accette e devo confessare che, se non fosse stato per tutte le persone che visualizzavano il mio blog ( cavoli, più di 2000 visualizzazioni in una sola settimana) e la mia pagina di Facebook, sostenendomi e incitandomi, non ci avrei messo la stessa voglia e lo stesso impegno.
Un grazie sentito a tutti quanti.
Forse non si rivelerà essere niente, forse i miei articoli non saranno pubblicati da nessun giornale, forse il mio lavoro non riceverà la giusta attenzione e il giusto riconoscimento, forse non sarà un emerito niente, ma quello che importa, ed è la cosa più importante, è che resterà per sempre una esperienza importantissima della mia vita e un ricordo bellissimo da portare sempre con me.
E’ l’unica cosa che conta per davvero.
UN SALUTO

IACOPO DUEMONDI LUZI
P.s a presto per nuove avventure, nuove foto, nuove storie da raccontare.

VI DO UN INDIZIO: UNA SETTIMANA A NEW YORK……