IN THE MORNING:
Fare il giornalista. Che fatica!!!
Si fanno le 3:00 a.m per scrivere i pezzi, ci si sveglia alle 8:00 a.m per finirli e riguardarli.
Nemmeno il tempo di fare colazione e bere un caffè iracheno(tra l’altro pessimo) e mi giunge una chiamata dal consolato italiano di Erbil: “Ti abbiamo rimediato un incontro con il rettore dell’Università Salahaddin, la più prestigiosa di Erbil. Corri subito alla sede del rettorato che ti stanno aspettando già da un pezzo.”
Dopo l’arrivo della notizia, inizia il primo tentativo al mondo di fare doccia, lavarsi i denti, vestirsi e attraversare tutta la città di Erbil in meno di mezz’ora.
Non si sa come, ma riesco ad arrivare puntuale all’incontro. I miracoli della metafisica impossibile made in Luzi.
Al contrario di quello che pensassi, non mi riceve il rettore, bensì il coordinatore delle relazioni internazionali per l’università Salahaddin, Mohammed Aziz Saeed, dicendomi che lui sarebbe stato maggiormente in grado, rispetto al rettore, di rispondere alle mie occidentali domande.
Ma, a mio parere, semplicemente è stato un modo carino di dirmi che il rettore non c’era. Pazienza.
Devo ammettere, però, che ha saputo rispondere a tutte le mie domande in maniera esaustiva ed estremamente interessante.
Forse è proprio vero che ho beccato l’uomo giusto.
Grazie alla chiacchierata con Mohammed, scopro che l’università Salahaddin è il più famoso e prestigioso, nonché più antico, istituto universitario del Kurdistan e, probabilmente, anche la più ricco, grazie all’incredibile boom economico di Erbil.
E’ una università che comprende 12 facoltà, 70 dipartimenti, 20.000 studenti e 1600 professori che vanno a comporre un quadro di studi che va dall’agricoltura fino ad arrivare all’ingegneria termonucleare.
Alla faccia di quelli che pensassero che ad Erbil ci fossero solo bombe e capre.
E’ un’università pubblica, finanziata dal governo curdo, che intrattiene rapporti con molte università europee, anche con quelle italiane di Perugia, Torino e Foggia, che inviano libri e professori, affinché l’università possa crescere e migliorare.
Ad esempio, se le università italiane si decidessero a finanziare, anche solo al 50%, l’apertura di una facoltà di lingua italiana ad Erbil, diventerebbe la prima università ad avere un simile corso in tutto il Medio Oriente.
Un’occasione unica.
Ma, va beh, siamo italiani e di simili occasioni neanche a parlarne.
E’ una università che rispecchia in pieno l’idea del Kurdistan: crescita, miglioramento, modernizzazione e apertura verso l’internazionalità e la globalizzazione, affinché possa diventare l’università più importante dell’Oriente. Sinceramente: hanno tutte le carte in regola per diventarlo.
Ma la notizia più interessante del colloquio mi arriva verso la fine, quando si parla di italiani e visti: chiunque voglia andare in Italia, ha l’obbligo di recarsi a Baghdad per ottenere il visto e depositare le impronte digitali, compiendo un viaggio lungo e pericoloso, che alla fine scoraggia chiunque voglia andare in Italia.
Per gli altri paesi è molto diverso: nessuna impronta digitale e visti concessi molto più facilmente.
Qualche domanda, a questo punto, viene spontanea farsela.
Siamo troppo burocratici. E ne paghiamo le conseguenze.
IN THE AFTERNOON:
Ok, bella l’università e interessante il fatto che la cultura sia uno dei principali interessi del governo curdo, ma nella testa ho ancora in mente la rivelazione avuta ieri parlando con Fabrizio Favilla: ” La El Dorado curda non esiste”.
E’ una affermazione grossa, da prendere con le pinze, e avrei bisogno di conferme per poter basare il mio articolo per il Corriere della Sera su questa verità,anziché sul contributo italiano alla crescita della regione curda, ma non saprei a chi rivolgermi e, di conseguenza, non so se fidarmi o meno delle parole di questo giovane imprenditore italiano.
Però il destino fa strani giri e compie percorsi misteriosi e fa in modo che la risposta a tutti i miei dubbi giungesse, quasi a sorpresa, nelle vesti di imprenditore curdo,  manager di una società di consulting per le aziende europee.
Infatti, verso l’ora di pranzo, mi ero recato presso l’ “Iraqi Institute for the conservation of Kurdish Heritage” di Erbil per scattare alcune foto alle mie amiche Irene Zanella e Gaia Petrelli, docenti del corso di restauro di beni librari tenuto per degli studenti iracheni, mentre facevano lezione.
La loro attività è molto interessante e va dalla fotografia dei vari manoscritti fino all’analisi dei watermarks, quando, all’improvviso, giunge alle spalle un signore che si presenta con il nome di Parwez Zabihi.
E’ un imprenditore curdo, chiamato per farmi un favore da Irene, che dopo 30 anni in Inghilterra, era tornato ad Erbil per aprire un’attività di consulting e per investire nel turismo locale.
L’intervista con lui si rivela essere molto delucidante e finalmente ottengo le conferme che volevo avere.
La El dorado curda non esiste, bensì esiste una nazione in rapida crescita dove le possibilità di fare affari sono enormi, ma in specifici settori e solo rispettando determinante regole, dettate dai curdi e dalla loro cultura tribale.
Ad esempio, l’azienda di Parwez è esperta proprio in ciò: creare collegamenti e connessioni fra le aziende europee, in particolare italiane, e le aziende curde.
Il suo motto è:  “Portare chi vuole spendere, da chi vuole vendere”.
Mi rivela come in alcuni settori l’Italia potrebbe fare affari d’oro, come nel campo delle energie alternative, dell’agricoltura, della progettazione/design o del cibo, ma limitandosi all’ideazione e alle gestione, delegando poi qualche altra azienda, magari curda o turca( sono le più forti) per la realizzazione pratica.
Sarebbe la chiave del successo.
Ci sono settori giusti, ma anche settori in cui l’Italia non può avere minimamente nessuna speranza: quello dell’edilizia, del vestiario o dell’arredamento in primis su tutti, giusto per fare qualche esempio.
Purtroppo il sig.re Zahibi mi conferma le stesse cose che Fabrizio Favilla mi aveva detto il giorno prima: molti italiani sono giunti ad Erbil, come vecchi cowboys convinti di fare soldi facili senza investire niente, senza passare per nessuna azienda intermediaria che creasse i giusti collegamenti con le giuste persone.
Un errore madornale che ha portato molte aziende al fallimento.
Alla sua affermazione: “Per fare affari qui, bisogna rispettare le regole”, mi sorge spontaneo chiedergli: ” Ma quali sono queste regole?, e lui mi risponde dicendomi che le regole sono semplici e abbastanza chiare; bisogna fare affari con i curdi, creare delle joint venture e mantenere dei prezzi ragionevoli che garantiscano la qualità del brand italiano, però senza nessuna speculazione.
Il pomeriggio si conclude con una visita esclusiva alla cittadella di Erbil, del quale il sig.re Zahibi è uno dei maggiori promotori ( mi sembra un tipo che abbia le mani in pasta un po’ con tutto) e risulto essere il primo italiano ad accedere a siti riservati della cittadella e a scattare foto in esclusiva per l’Italia.
Quando si dice avere colpi di fortuna.
Mi colpisce molto una delle sue frasi: ” C’è un detto curdo che dice: quando vieni la prima volta in Kurdistan, l’energia e la passione di questa terra ti spinge, poi, a ritornare nuovamente.”
Mai niente fu di più vero. Sono 6 giorni che vivo ad Erbil e non vorrei più andarmene, o per lo meno, non vorrei andarmene così presto. Il mio lavoro è così importante e articolato che servirebbe un mese buono per poterlo documentare tutto.
IN THE EVENING:
La serata si conclude con la terza intervista della giornata al responsabile dei costi e delle quantità, per una azienda italiana di ingegneriam Francesco Davini.
(N.d.d: incredibile come nell’arco di 6 ore, sia riuscito a coordinare e far incastrare tutti quanti gli incontri e gli appuntamenti. Un piccolo capolavoro di culo e organizzazione del sottoscritto.)
Il sig.re Davini si trova da un anno in Kurdistan per la E.L.C di Milano e lavora alla progettazione e realizzazione di una diga per la produzione di energia idroelettrica a Nord di Erbil.
Un lavoro complesso, ma la cosa che più mi colpisce del suo lavoro, è una notizia riguardante il territorio del Kurdistan che, finora, nessuno aveva avuto la cortesia di rivelarmi, manco il giornalista curdo, forse per non fare cattiva pubblicità al proprio paese e ai possibili investitori: il Kurdistan è una regione completamente ricoperta di mine, circa 13 milioni sparse un po’ dappertutto, un piccolo ricordino del periodo della dittatura di Saddam Hussein, dei massacri contro i curdi e della guerra contro l’Iran.
Va detto che il governo curdo è estremamente bravo e attrezzato nelle attività di sminamento, ma il pericolo rimane e, specialmente ai confini, le attività di sminamento sono all’ordine del giorno per qualunque azienda debba progettare e costruire qualcosa.
Una notizia che potrebbe scoraggiare molte aziende ad investire in Kurdistan, perciò messa a tacere dal governo e dai mass media.
Parlando con Davini, che mi racconta del suo lavoro e della sua venuta in Iraq per via della crisi occupazionale italiana, ottengo una seconda conferma delle notizie datemi dai sig.ri Favilla e Zabihi: l’Italia non può arrivare in Kurdistan e in Iraq sperando di fare soldi, mettendosi in competizione con le aziende turche e arabe.
Ora sono sicuro. Potrò parlare con dati e testimonianze attendibili del mio scoop: la El Dorado è una bufala.
L’Italia, per avere successo, dovrebbe puntare alla trasmissione del proprio Know How, facendo affidamento su una specializzazione tecnica del proprio prodotto, che vada al di là della semplice estetica, per poi avere la possibilità di giustificare un prezzo che sia più caro della concorrenza a basso costo e dalla qualità scarsa,sebbene non di molto.
Il brand italiano farebbe faville, ma ad un prezzo ragionevole, non equiparabile con quelli proposti in Italia.
In parole povere: siamo una grande nazione ma, quando si tratta di affari, siamo dei veri idioti.
Concludo rivelando un dato statistico che potrebbe essere degno di nota: a detta del consolato, sono il più giovane italiano venuto in Iraq dal 2006 ad oggi.
Wow!!! Vado a dormire sentendomi figo….