Dopo l’ennesimo aereo preso all’alba, sopravvivendo alla nottataccia in bianco a Dubai, alla fine atterro nella città dai mille nomi. Meravigliosa.
Venticinque dollari di taxi per arrivare al hotel, neanche il tempo di una doccia e subito si riparte verso l’English Village.
Ci sono cantieri ovunque, palazzine in costruzione e un odore di asfalto e gomma dappertutto.
E’ tutto nuovo.
I segni della dittatura evidenti.
Alle 14:00 ho l’incontro con il console italiano Simone De Santi.
Tralasciando il fatto che i tassisti curdi sono dei volponi, non sappiano cosa sia la cintura di sicurezza, guidino come dei pazzi ( vedi retromarcia in tangenziale) e non usino il tassametro manco a pagarli, arrivo finalmente sano e salvo davanti all’ufficio consolare italiano. Mi sento miracolato.
Prezzo della tratta: 20 dollari. Solo, in seguito, ho scoperto che la tratta normalmente costi al massimo 2 o 3 dollari, e che mi sono lasciato gabbare beatamente, ma mi piace credere di aver fatto beneficenza con la mia ingenuità.
Arrivo al consolato e nell’entrare conosco per la prima volta l’assistente del console Hajar e degli imprenditori italiani che avevano appuntamento prima di me.
Finalmente arriva il dott.re De Santi, che rimane sorpreso della mia giovane età, ma è entusiasta per la mia voglia di fare e per il coraggio mostrato per essere arrivato fino in Iraq.
La mia risposta era scontata: sono qui, perché ho un sogno e ho voglia di arrivare.
Ed ecco che, improvvisamente, si spalanca un mondo intero, finora ignorato anche dal sottoscritto: il console mi racconta un po’ del suo ruolo ad Erbil e di come, dalla morte di Saddam Hussein, le cose siano molto cambiate in Iraq, specialmente nella regione del Kurdistan iracheno.
E’ una città che sta crescendo a ritmi spropositati e presto arriverà a fare concorrenza agli Emirati, è un paese in profondo conflitto fra la compagine curda e araba, ma ha di fronte a se un futuro radioso.
In questa crescita spropositata, il ruolo dell’Italia sta diventando, giorno dopo giorno, sempre più fondamentale e da quando l’ufficio consolare italiano è stato aperto nel 2009, in soli 3 anni, sono stati fatti passi da gigante.
Scopro che il consolato italiano non è semplicemente un ponte di collegamento per creare “Business” fra le aziende italiane e irachene, bensì un’ entità forte e attiva, nonostante l’ufficio sia gestito solo da quattro persone, che sta contribuendo alla crescita sociale, sanitaria e culturale di Erbil e di tutto l’Iraq.
L’ufficio consolare incentiva le piccole aziende ad investire nel “made in Italy” e aiuta qualunque italiano si rechi ad Erbil. Io sono un esempio di ciò, per intenderci.
La sua importanza è diventata tale che presto l’ufficio consolare diventerà un consolato a tutti gli effetti.
Finalmente una buona notizia.
L’unica nota stonata del suo discorso è una sola: la paura che le aziende italiane si rechino ad Erbil, solamente mosse dalla disperazione dovuta alla crisi italiana, e non perché siano veramente interessate ad ampliare le proprie attività in questi territori.
Finita la discussione ,ad un tratto, le cose prendono una piega del tutto inaspettata e incredibilmente positiva.
Il console, deciso ad aiutarmi come meglio può, si arma di telefono e nel giro di cinque-sei chiamate mi fissa appuntamenti con personalità curde, irachene e italiane che stanno contribuendo, grazie all’aiuto del consolato, a sviluppare una nazione distrutta dalla guerra. Vuole che le intervisti tutte e realizzi un lavoro eccellente con la miglior documentazione possibile.
E, di conseguenza, il mio lavoro diventa inaspettatamente più complesso e interessante: non mi occuperò più solamente dello sviluppo economico grazie al contributo italiano, ma curerò anche gli aspetti relativi alla sanità, la cultura e lo sviluppo sociale.
Senza tralasciare quell’altro lato dell’Iraq fatto di normalità e quotidianità, che il mio contatto locale mi aiuterà a scoprire.
Ora: domani mi recherò a Dukok, a nord di Erbil, per intervistare la sig.ra Bakshan, direttrice di una Ong curdo-italiana che si occupa di curare e operare malattie cardiache ai bambini più disagiati della zona, mentre nel pomeriggio, incontrerò una ragazza italiana di nome Irene Zanella, che lavora presso l’Iraqi Institute di Erbil, per sviluppare il tema culturale del mio reportage. Poi, nei giorni successivi, intervisterò altre persone.
Rimango sconvolto da tutto questo aiuto. Non me lo sarei mai aspettato.
Di punto in bianco, le mie prospettive sono cambiate in maniera vertiginosa.
Il pomeriggio si conclude con un intervista al sig.re Ersh Ramandhizi, account manager della Tecnopolo, una società italiana esperta di design che ha da poco curato la progettazione della tramvia di Erbil e che è, in collaborazione con l’ufficio consolare, interessata a sviluppare l’area anche dal punto di vista sociale.
Infine, il sign.re Ersh, che parla un ottimo italiano, si è offerto di accompagnarmi persino a Duhok domani, lui che è esperto della zona, poiché è venerdì di festa, e quindi potrà dedicarmi tutta la giornata ed evitarmi spiacevoli incontri tra le montagne irachene.
Arriva la sera e incontro finalmente Shireen, il mio contatto locale, che mi porta a cena fuori e mi parla della sua vita e della sua cultura, della sua fuga da Baghdad, sette anni fa, dopo che il fratello aveva rischiato di essere ucciso e la sua nuova vita ad Erbil. Una storia incredibile.
Una vita difficile la sua: mezza araba, mezza curda. Una meticcia. E ai curdi, sopratutto quelli più snob, non piacciono le meticce.
Mi racconta di quanto sia dura essere donna in un paese islamico e ne rimango profondamente colpito.
E la cosa che più mi sconvolge è una: la sua voglia di scappare via, ma questa è un’altra storia e ve la racconterò più avanti, in un capitolo a parte.
Nei prossimi giorni la mia agenda sarà piena di incontri ed interviste con imprenditori italiani e locali e finirò, addirittura a Sulymaniyah, a sud di Erbil vicino il confine con la zona di guerra di Kirkuk, dove intervisterò la responsabile del museo mesopotamico, la sig.ra Bizzarro, proveniente direttamente dall’Università Sapienza di Roma. E’ un rischio, ma passando per le montagne ed evitando l’autostrada, non dovrei correre rischi. Spero.
Che dire? Per essere il primo giorno, credo di essermi meritato la pagnotta.
Non vedo l’ora che sia domani…..