Vi sto scrivendo dalla città degli emirati: Dubai.

[Ho scoperto che neanche a Dubai hanno cambiato l’ora.
Credevo fosse una prerogativa dell’Iraq e invece sono quasi tutti i paesi del Medio Oriente a non cambiare l’ora, perché, se lo facessero, di conseguenza il sole tramonterebbe alle dieci di sera, e ve li immaginate questi poveracci durante il mese del Ramadan ad aspettare fino a quell’ora per poter mangiare e bere?]

Comunque essere tornato qui ha un suo significato: significa che sono sulla via di ritorno verso casa e, di conseguenza, ciò vuol dire che sono vivo.
Ma d’altronde perché avrei dovuto correre qualche rischio?
Probabilmente il mio soggiorno in Erbil è stato uno dei più sicuri in vita mia.
Sul serio. E’ qualcosa di incredibile.
Forse il fatto che quasi il 95% della popolazione abbia un lavoro e che esista un controllo sociale reciproco fra i vari abitanti ha impedito che si diffondesse la microcriminalità( circa un tasso dello 0,5%) mentre i severi controlli della polizia curda e dei Peshmerga( i soldati dell’esercito curdo) impediscono che nella città avvengano scontri fra curdi, sunniti e sciiti.
In fondo l’ultimo attentato terroristico ad Erbil risale al 2007. Non è un caso.
Vi faccio un esempio emblematico: ad Erbil esiste un viale chiamato “Dollar bazar”, in pratica la via dove risiedono tutti quanti i Change Money della città e, in questo posto, immaginatevi file di banchetti piene zeppe di mazzette di denaro: dollari, euro, dinari…..di tutto.
E, in questa via, potete assistere ad un fenomeno curioso, ma allo stesso tempo impressionante: in ognuno di questi banchetti è seduto un signore che, da buon curdo quale è, ha l’abitudine, molto tranquillamente, di alzarsi dal suo banchetto, all’orario preciso, per andarsi a prendere un tè, lasciando lì incustoditi pacchi e pacchi di soldi.
E…… non succede niente….
Nessuno che li tocchi, nessuno che provi a prendere manco un centesimo. Non si azzarda nessuno manco lontanamente.
Vi giuro, è qualcosa che lascia a bocca aperta.
Ma è la regola. E’ la loro cultura.
Ad ogni modo oggi è stato il mio ultimo giorno ad Erbil e, nonostante avessi il volo alle 17:00 p.m ho continuato a lavorare, svolgendo interviste e incontrandomi con tre personaggi molto importanti: il console italiano ad Erbil, Simone de Santi, presso l’ufficio consolare di Erbil e Giuseppe Perego, project manager della ELC, l’azienda che avevo intervistato ieri.
Sono anche riuscito, praticamente per caso, ad intervistare una certa dott.ssa Angham Hanna, la responsabile in loco della Camera di Commercio di Milano.
Tutto ciò che, tradotto, ha voluto dire per il sottoscritto: piatto ricco, mi ci ficco.
Ma, in pratica, ha significato che, terminato tutto alle 14:00, mi sono dovuto fiondare di corsa all’aeroporto internazionale per ripartire verso casa.
Prendere il volo è stato un miracolo.
L’intervista con il console De Santi è stata molto interessante, in quanto si è rivelata essere una sorta di punto della situazione, un riassunto generale del mio viaggio in Kurdistan e Iraq, un confronto tra quello che ho appreso e la sua esperienza, che potesse fungermi da cartina tornasole, da fatidica prova del nove.
Ed è quello che si è dimostrato essere, infatti, mi ha confermato ciò che avevo già appreso: per entrare nel mercato curdo bisogna essere seri e rispettosi, consci del fatto che sia necessario tempo per entrare nei giri giusti, specie in quelli governativi/pubblici.
Detto ciò, scopro che l’Italia è il partner numero uno europeo per l’Iraq, per un giro di quasi 4 miliardi di euro ogni anno, 50 imprese stabili e più di 150 in rapporti commerciali con aziende curde, ma nonostante tutto, le aziende italiane, a parte casi straordinari, sono tutte piccole-medie imprese che non sono in grado di fronteggiare i titani curdi e libanesi, per questo la diplomazia economica del consolato italiano( anzi ufficio consolare italiano che in Luglio diventerà Consolato) è fondamentale affinché si possano fare affari.
Ed è stata la svolta negli ultimi due anni.
Diciamo che una azienda italiana per avere successo in Kurdistan e, conseguentemente, in Iraq dovrebbe:
1) Creare delle joint-venture con partner locali.
2) Affidarsi a tramiti sia ufficiali, come il consolato, sia privati, come le aziende di consulting locali ( spesso gestite da ex-emigrati curdi ritornati a casa con il boom economico) per stabilire forti alleanze con le fonti d’investimento locali.
3)Non entrare in competizione con le superpotenze locali come la Turchia e la Libia in settori come quello dell’edilizia o dell’ arredamento.
4) Diversificare il proprio prodotto, puntando sulla qualità “made in italy”, ma ha prezzi ragionevoli, non esorbitanti.
5) Puntare sui settori giusti, come quello sanitario, della progettazione, del design, dell’agroalimentare, delle forniture per l’edilizia( finestre, porte, infissi).
6) Rispettare le regole della società curda, una cultura fondata su antiche tradizioni e valori molto spesso di stampo familiare e, oserei dire, quasi tribale.
7) Entrare nel mercato con la volontà di investire tempo e denaro, senza dare l’idea di voler solo “toccare e fuggire” per approfittare delle immense ricchezze curde.

Mi ha colpito molto la frase riferitami dal console: “Erbil è una El Dorado, sebbene sia un termine un pelo azzardato, ma per chi ci sappia fare”
E come mi confermano anche la dott.ssa  Hanna e il sig.re Perego, non è veramente una El Dorado facile da conquistare, ma una volta dentro, il gioco è fatto.
Le possibilità economiche e d’investimento sono pazzesche.
Tanto che il sig.re Perego mi fa questa battuta per darmi un’idea della cosa:
 “Qui non si può più fare come Colombo con gli indigeni, ovvero provandoli a gabbare con perline e specchietti.
Non è più così. La qualità è aumentata e anche la smaliziatezza del cliente.”

Vorrei aprire una piccola parentesi sulla sicurezza ad Erbil e dintorni: mai visti così tanti controlli.
Ma la paura è tanta e non bisogna abbassare la guardia neanche un minuto, infatti basterebbe un solo secondo per far accadere ciò che avviene quasi ogni giorno a Kirkuk, la terra di confine tra Iraq e Kurdistan.
Emblematico il caso dell’aeroporto: un primo controllo di sicurezza fuori dall’aeroporto, poi un bus porta i partenti verso un secondo check-point di sicurezza e solo, dopo questo ennesimo controllo, si può imbarcare la valigia e fare il biglietto.
Ma non è finita qui: un controllo documenti e poi, prima del Gate, un terzo controllo di sicurezza.
Una cosa pazzesca ma qui, purtroppo, non si può scherzare.
Ogni giorno si gioca con il fuoco.
E ci si può scottare molto facilmente.

Ad ogni modo, mentre continuo ad aspettare il volo di collegamento verso l’Italia alle 3:40 a.m locali( la mia giornata non è ancora finita) vi lascio con queste ultime informazioni: il Kurdistan è un paese in via di sviluppo dove mancano ancora molte cose fondamentali ed essenziali per la crescita economica, come le poste, il sistema di pagamento online e le linee ferroviarie, per non parlare delle banche dove si paga solo in contanti o quasi, ma la voglia di fare e investire è incredibile e hanno tutte le carte in regola per arrivare lontano.
Basti solo pensare che, per chiunque dimostri di voler investire seriamente nel progetto Kurdistan, lo stato regala la terra dove costruire la propria attività e per i primi dieci anni le aziende non hanno l’obbligo di pagare alcuna tassa al governo per le proprie entrate.
Non sarà la El Dorado, ma i curdi dimostrano, così facendo, di sapere il fatto loro. E anche bene.