Roma. Fao. IpsTv.
Il mio stage, il mio lavoro, la mia prima avventura giornalistica.
Al di là della quotidianità e della vita di redazione, vorrei soffermarmi a parlare di quello che ho potuto imparare in questo primo mese qui a Roma.
Credevo che il mondo del giornalismo fosse complicato, beh…..quello del Video-giornalismo lo è ancora di più.
Infatti, non basta avere una notizia e una telecamera, quattro riprese montate qui e là e un briciolo di editing per avere un servizio che letteralmente “spacchi” lo schermo.
Come tutte le cose, quello che fa la differenza sono le sfumature e i tocchi di classe.
Non che io sia un esperto di editing o di produzione di servizi video, anzi. Però passando le giornate qui alla redazione di IpsTv e affiancandomi ai miei capi, tutta gente esperta e dal curriculum invidiabile, ho avuto modo di osservare il loro operato e magari beccarmi qualche consiglio utile.
Immaginate un servizio sui “desaparecidos” argentini e i crimini commessi dalla dittatura militare negli anni 70: tema interessante, buone inquadrature e un pezzo che, tutto sommato, ha una sua logica, poi, arriva il momento dello stand-up( la parte in cui l’inviato parla in piedi di fronte le telecamere) e tutto cambia.
Motivo? Il videogiornalista durante lo stand-up, per tutto il tempo, muove in maniera nervosa, quasi fosse un tic, la mano con la quale non sta tenendo il microfono. Sembra un piccolo dettaglio insignificante eppure l’occhio di chi guarda il video non fa altro che guardare quella mano muoversi in maniera strana, senza prestare la benché minima intenzione a ciò che il giornalista stia dicendo.
E, come il mio direttore spiegava, la gente non ricorderà mai nulla di quel video, al di là di quel povero giornalista che muoveva la mano, quasi si volesse dedicare a pratiche di onanismo in diretta.
Sembrano dettagli, eppure fanno la differenza.
Un’inquadratura più lunga del previsto, un montaggio in qui si vede nettamente il passaggio da una scena all’altra o semplicemente una ripresa realizzata senza tenere conto dei vari fattori ambientali, possono rovinare tutto ciò che di buono era stato realizzato fino a quel momento.
Basti pensare che per realizzare un buon servizio video le regole da adottare sono molte, ma solo alcune risultano veramente fondamentali: evitare che la ripresa venga mossa o che le inquadrature siano realizzate di fretta, senza tener conto della luce o dei rumori di sottofondo, e , sopratutto, controllare che la telecamere inquadri sempre ciò che pensiate stia riprendendo senza dare nulla per scontato.
Come già detto in precedenza, sembrano delle ovvietà, ma sono gli errori più comuni.
Ogni giorno in redazione arrivano pezzi da tutto il mondo: Nepal, Gaza, Sud Africa, etc, e di errori se ne vedono di tutti i colori, ma spesso e volentieri i peggiori sono frutto di semplici distrazioni o della fretta nel realizzare un video.
Potete immaginare come, da neofita, questo mondo mi possa sembrare diverso da quello scritto, alla quale tutto sommato sono stato sempre abituato e ogni giorno si rivela essere una lezione da imparare.
Certo, a volte, verrebbe la voglia di prendere e di propria iniziativa mettersi a montare un video, realizzare un servizio oppure dare il titolo ad un pezzo, ma, alla fine, anche il semplice guardare gente più esperta di te occuparsi di determinate cose può rivelarsi interessante.
E qualche volta capita anche l’occasione per poter entrare in azione.
Vi racconto questo fatto: caso Zimmerman in Usa, video pronto, manca semplicemente da scrivere la piccola presentazione in inglese che accompagnerà il pezzo.
Il direttore mi chiede di realizzarla. Penso: “Finalmente. Che cavolata! Sarà un gioco da ragazzi”.
Butto giù una bozza, cercando di essere il più breve possibile e rispettando le 5W del giornalismo( what, where, who, when, why). Vengono fuori 4 righe.
Penso di aver fatto un buon lavoro. Mi sbagliavo. Troppo lungo.
-“Troppo lungo?”.
-” Si, devi sapere che la presentazione non è una spiegazione, bensì una mini introduzione in cui non si anticipa niente, sennò nessuno vedrebbe poi il video.”
-” Sti caz….” ( a volte i francesismi vanno a farsi benedire…)
Della serie: uno credo di aver imparato qualcosa e invece non finisce mai.
Sarà che il mondo del giornalismo, in generale, sta cambiando per adeguarsi sempre di più ai ritmi dinamici e frenetici delle persone, tipici dei social media, dove la regola è: breve ma esauriente.
Basti vedere il boom di Twitter per rendersene conto.
Di conseguenza i linguaggi della comunicazione seguono i tempi e con essi anche le persone che vogliono, o per lo meno tentano, di comunicare.
Un tempo per scrivere o girare un pezzo bisognava armarsi di voglia e andarsi a cercare la notizia.
Oggi, basta un rapido giro nel web per avere tutte le informazioni che uno vuole.
Mi è bastato scoprire come, qui in redazione, fosse possibile realizzare dei servizi semplicemente partendo da una traccia audio registrata da un nostro giornalista e poi trovare immagini sul web, per avere un servizio bello che pronto.
E il tutto, senza alzarsi dalla propria poltrona.
Pazzesco.
Che poi, come uno dei miei capi mi disse qualche giorno fa, alla fine uno può realizzare il miglior servizio del mondo ma, in realtà, il migliore di tutto è quello che poi va in onda.
Idem per i pezzi scritti( pensate al mio viaggio in iraq: articolo stupendo, argomento interessante, ma poco vendibile).
In fondo, una regola non scritta del giornalismo è:
“Il pezzo/video/articolo migliore
sarà sempre quello
che verrà pubblicato domani.”