L'autore della storia: Giovanni Robert

L’autore della storia: Giovanni Maria Robert

Poche ore  mi separano dal ritorno in Italia. La mia esperienza di un mese e tredici giorni negli Stati Uniti d’America è oramai giunta al termine.

 Come la maggior parte della gente che legge, ognuno di voi si aspetterà un riassunto, una riduzione di questo mio viaggio

Va davvero per  la maggior pensare di potere condensare in poche righe, o magari se si è fortunati, in poche pagine,  cioè che io amo chiamare tripla V: Vita Vera Vissuta.  Riassumere. Concretizzare. Comprimere. Sono questi forse sinonimi di sminuire?

Come si fa a  comprimere il vissuto? Come si fa, ad esempio,  a descrivere un’esperienza del genere e come posso io rendere efficacemente  uno spaccato di vita così ampio, non  tralasciando niente e arricchirlo di tutto ciò che è stato: sguardi, odori, sapori, occhi, mani, paesaggi, personaggi. Un viaggio è un’esperienza così densa di significati, non solo  per il viaggio in se stesso, ma soprattutto per tutto quello che vi soggiace:  il mio non è stato una crociera, non è stata una gita al museo e non ha avuto nulla del  solito viaggio:  proverò a farvi il punto della situazione, attraverso queste poche righe.

Ho percorso circa 8000 km per saldare un debito. Un debito con la vita. E forse, anche un debito con la morte.

Detto così fa molto esattore delle tasse, riscossione dei tributi. Ma  era questo il mio intento: veni, vidi, vici. Arrivare, riscuotere per poi prendermelo e riportarmelo a casa.

Molto è successo in questo mese e mezzo. Di più però è accaduto nei tre mesi precedenti la mia partenza e la mia conseguente immersione, in un mondo, che davvero ho finito per abbracciare.

La scena è semplice, normale, tipica… banale azzarderei.

Una famiglia perfetta: un padre e una madre incredibili, affettuosi e premurosi verso una prole tanto voluta quanto amata. Vincent e Teresa, genitori impeccabili, amici prima di essere amanti, veri e propri “self made american men”

Poi ci sono loro o meglio c’erano alcuni di loro: Tessy, ventidue anni per puzza e Andrew, venticinque incredibili anni, passati sotto le cure amorevoli del padre di cui è il gioiello più prezioso e di cui ne incarna l’essenza. Il tutto sa quasi di cattolico: il carismatico piglio e la non comune benevolenza che il padre sprigiona da ogni poro, trasmessi e perfettamente incarnati in questo straordinario giovanotto.

Tutto perfetto: una casa in California in cima alle “El Dorado Hills” e in riva a un lago,  quattro automobili, un cane, un orto e una vita così soddisfacente da rasentare la noia.

La vita scorre placida in questo angolo di paradiso: tra un bicchiere di vino e un’occhiata al cielo terso della California, il tempo passa: sereno, calmo… disteso.

Giovedì 7 marzo 2013, un giorno qualunque. Come al solito, la famiglia si sveglia alle 4 di mattina: chi per andare a lavoro, chi per andare all’università.

Errata corrige.

Giovedì  7 marzo non è e non sarà più un giorno come un altro: la vita, annoiata da tanta perfezione e tanta tranquillità, decide di deviare dal suo corso normale, decide di deragliare  dal binario su cui corre e di portare con se tutto quello che corre su questo treno destinazione paradiso. Si prende il migliore di loro:  prende e si porta via Andrew.

Tutto perfetto, tutto immacolato: non un motivo, nessun abuso di farmaci, di droghe né tantomeno un riscontro di problemi cardio/respiratori…nessuna apparente sofferenza nel momento topico della nostra vita. Nulla. Tutto perfetto. Si, fino a ieri.

Andrew va. Fa quello che ama di più nella vita: partire. Korea, Francia, Italia, Polonia, Spagna.

Questa volta però non torna. Prende il largo. E con se, porta via tutto: la vita e la vista dei suoi genitori, ciechi ormai verso la speranza di  poter invecchiare come hanno sempre sognato: assieme alla persona che amano di più.

Vincent si fa piccolo, minuscolo, quando l’ombra della morte, col coltello intriso di sangue e il classico sorriso ironico sul suo volto, gli fa l’occhiolino e  fa si che proprio lui, colui che ama suo figlio oltre ogni possibile immaginazione scopra il suo corpo: ”Coraggio, alzati! Hai passato tutto il giorno a letto! Si può sapere cosa c’è?!” Silenzio. Bastano pochi istanti al padre per realizzare che il suo adorato figlio, non c’è più. Andrew non risponde. E’ sulla sua strada. E’ già in viaggio. Zaino in spalla,  occhiali da sole e tanto coraggio, proprio come quando l’ho accolto a Barcellona, “backpacker” style, per il viaggio più lungo.

Se è quasi impossibile per me condensare un mese e spicci in queste poche righe, come posso solo pensare di descrivere un essere umano con delle parole? Ed è impossibile farlo per la gente comune, figuriamoci per una personalità caleidoscopica come quella di Andy. Ci vogliamo provare?

Proviamo: buonoonestosocievolegenerosotalentuososognatore

innamoratodellavitacorrettosinceroammirevoleamicocompagnofratello.

Non va. Non ci riesco. Non si può! Andrew era, pardon, è, una di quelle rare persone che fanno bene al mondo. Una

Giovanni, con la maglia della fiorentina, e Andrew, il ragazzo con i pantaloncini bianchi

Giovanni, con la maglia della fiorentina, e Andrew, il ragazzo con i pantaloncini bianchi

persona che rende questo luogo, la terra che abitiamo, impervia, dura, aspra e secca….un luogo migliore: il suo sorriso, così ampio e delicato da sembrare un abbraccio,la calma olimpica con cui anche la più impellente  o tragica delle situazioni veniva affrontata o magari quel senso di pace che il suo spirito emanava, erano per le persone che hanno avuto la fortuna di incontrarlo sul loro cammino, un toccasana: come un balsamo o un profumo. Si posa su di te, lo puoi avvertire, lo senti nell’aria…eppure ancora non lo vedi. Saranno solo grosse banalità? Forse! Ma quanti di voi possono vantare  un ventaglio così ampio di persone che rendono questo mondo un luogo migliore? Potete essere così fortunati da oltrepassare le dita di una mano?! No. Non ci credo. Stronzate.

Andrew non è americano. E’ estemporaneo direi. Non possiede la classica superficialità e l’ottusità dei suo compatrioti e dei suoi coetanei. No. Andrew è speciale. Ma speciale per davvero. Un semidio. Un semidio lontano decine di migliaia di km da me. Ma vicino. Mai così vicino.

Andrew ha toccato moltissime persone. Lasciando sempre qualcosa di se, nel cuore di chi solo lo ha conosciuto, anche se solo per una serata. La sua essenza risiede nelle sue azioni. E’ così speciale e inarrivabile, perché quello che faceva veniva dal cuore. Era spontaneo, era vero…tanto vero, da poterlo quasi toccare.

L’insegnamento di Andrew, non può essere reso vano dalla sua dipartita.

Per questo, c’è un’idea che balena nella mente di Terry: il simbolo di ciò come Andrew si sarebbe comportato diventa un braccialetto: si, esatto, un semplice bracciale di gomma che  recita un  acronimo

tanto semplice quanto pungente :”WWAD, What Would Andrew Do?”….che cosa farebbe Andrew? Già è vero. Fosse ancora qui tra noi… che cosa farebbe Andrew?

Andrew se ne va. E con lui quel tempo di immacolata perfezione.  “Le colline d’oro” tremano. Si scuotono. Crollano. Cedono sotto il peso del loro figlio più amato, che oramai non c’è più.

“Il terremoto è arrivato: adesso gente rimboccatevi le mani”
“Rimboccarsi le maniche ?! Come? Con quale forza? Con quale spinta? Certo, gli aiuti arrivano: parenti, amici, conoscenti, postini, idraulici, insegnanti, allenatori, tutti. Già perché non importa quale ruolo avesse Andrew nella tua vita e quale ruolo avessi tu nella sua: ne venivi comunque toccato, ne venivi comunque calmato…ne venivi comunque illuminato.”

Giovanni con Vincent

Giovanni con Vincent

Gli aiuti arrivano ma non basta. Il sole si è spento. E prima che un po’ di luce filtri ancora da quella finestra, molto tempo dovrà passare…

Dopo la morte di un figlio cosa c’è?

Il buio? L’oblio? Un calvario? Non esattamente. Ogni passo non è più saldo. Ogni respiro è faticoso. Ogni sguardo verso il cielo è una bestemmia. Ogni parola è velata di veleno. Ogni attimo è denso di ricordo. Di vera vita. Di vita tangibile. Di felicità, tramutatasi all’istante in dolore.

Si può davvero continuare a vivere dopo un evento del genere? No. Il massimo che si può fare, credo sia sopravvivere. Trascinare ogni passo. Gonfiare il diaframma a forza. Bearsi della stupidità e della contingenza del mondo.

Ho scavato a fondo in questo mese e mezzo. Vincent e Terry me ne hanno dato la possibilità. Hanno voluto che io tornassi qui, in questo luogo una volta incredibilmente magico, ora imbevuto di verde malinconia, come la pioggia che ogni giorno bacia incessantemente il 407 di Flat Rock Road, Lake George, NY.

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Una foto di famiglia con Andrew e Giovanni

Mi hanno così permesso di onorare l’amicizia, o per meglio dire la fratellanza, che legava questo ragazzo straordinario e me.

Avrei dovuto attraversare la California da Nord a Sud con lui. Poi sospinti dall’entusiasmo per un’estate assieme, attraversare l’intero stato in un “coast to coast”.

Così non è stato. Così non sarà.

Ma così come in quell’oscuro giorno di marzo la vita si è presa Andy, così giugno e luglio mi hanno fatto uno dei più bei regali che la vita potesse farmi: una sbirciata.

 

Una sbirciata. Uno sguardo. Una visione.

L’immagine indelebile di come sarebbe stato bello, di come sarebbe stato incredibile avere avuto un padre al mio fianco.

Vincent è ancora imbevuto di un affetto e una benevolenza contagiosi, è ancora così pregno, di un amore così vasto e sconfinato da riuscire ad andare oltre la morte del suo unico vero figlio,  da riuscire a oltrepassare l’oceano e persino a superare i chilometri che ci separano: l’amore vero con cui mi ha accolto e con il quale mi ha trattato come un figlio, la passione e l’entusiasmo della condivisione che lega due spiriti affini come lui e come me, sono il vero dono, sono il vero insegnamento che schianta ogni dolore, che solleva ogni sguardo e che innalzano di nuovo lo spirito.

Venticinque anni sono poca cosa al confronto di un mese e tredici giorni, è vero….ma capisco ora più che mai,  che il vero debitore sono io: devo alla vita l’opportunità di questa sbirciata. Devo a Vincent la mia eterna stima e la mia infinita riconoscenza. E devo a te Andrew, amico e fratello mio, il mio futuro: prima di agire so  e saprò già cosa fare, basterà guardare al mio polso…

 

WWAD

 

Una storia scritta da:  Giovanni Robert