Dopo i primi 3 capitoli della tesi , ci inoltriamo nella seconda parte di questo esperimento, piú pratica, dove analizzare degli esempi di Citizen Journalism sparsi nel mondo
 
Per leggere  la spiegazione del progettohttps://www.duemondi.net/introduzione-al-progetto-one-thesis-one-web-one-goal/
 
Per leggere i primi 3 capitoli: https://www.duemondi.net/il-citizen-journalism-minaccia-o-futuro-del-giornalismo/
 
Il primo caso analizzato é quello dei Midia Ninja in Brasile, mentre nei prossimi capitoli tratteremo altre tipologie di Citizen Journalism, come quello di David Eun: il manager e lo scoop da grande giornalista durante l’incidente aereo di San Francisco.
Le regole dell’esperimento sono sempre le stesse: chiunque puó scrivere, commentare, lasciare idee e giudizi attraverso la sezione commenti o la pagina FB del blog.
Magari citare qualche fonte che spieghi il fenomeno dei Midia Journalism o qualche segnalazione (temo ci sia qualche refuso nel capitolo che non ho avuto ancora il tempo di rivedere).
Quindi: SCRIVETE, SCRIVETE, COMMENTATE….e mi raccomando: STAY TUNED! STAY CITIZEN! 
 

4 ) CASO 1

I Midia Ninja in Brasile, i giornalisti di strada «raccontano» la rivolta brasiliana:

I manifestanti in Brasile

I manifestanti in Brasile

Giugno 2013:  in Brasile, scoppiarono delle proteste popolari che spinsero decine di migliaia di persone a scendere in strada per manifestare contro il governo brasiliano e le sue politiche inefficienti.

Inizialmente si manifestava contro l’ingiusto aumento del prezzo dei biglietti della metro e dei bus per sfociare poi in una protesta più ampia contro la politica, la corruzione e i tagli al sistema sanitario e scolastico.

Le proteste ottennero un grande risalto a livello mondiale e, tra i manifestanti, era possibile notare degli strani individui, armati di telecamere, telefonini, microfoni e batterie d’auto, che riprendevano gli eventi e i fatti, documentando le proteste e gli scontri fra poliziotti e dimostranti.

Queste persone non erano dei fanatici, bensì dei Citizen Journalists, chiamati Midia Ninja.

Ma chi sono questi ragazzi e cosa fanno esattamente?

I Ninja dell'informazione

I Ninja dell’informazione

Ispirandosi ai guerrieri incappucciati del Giappone, silenziosi e invisibili, la parola Ninja in portoghese è anche un acronimo che significa: Narrativas Independentes, Jornalismo e Ação (narrazioni indipendenti, giornalismo e azione).

Questi aspiranti giornalisti di strada non nascono dal niente, si finanziano attraverso il collettivo culturale Fora do Eixo (FdE), di cui costituiscono anche il braccio audio-visivo, nato nel 2005 a San Paolo con l’obiettivo di alimentare la scena musicale fuori dal raggio delle grandi città.

Hanno trasmesso in diretta, senza tagli e senza una ri-edizione, le manifestazioni che per più di un mese hanno infiammato tutto il Brasile, da Rio de Janeiro fino a Porto Alegre.

Anche prima dell’inizio delle proteste  i Midia si erano messi in mostra, seguendo il primo turno delle elezioni municipali nel 2012 e realizzando programmi quotidiani sui vari candidati in venti città diverse del paese, per poi, successivamente,  girare dei reportage in alcuni villaggi indigeni guarani e caiovà nel Mato Grosso do Sul e arrivare a seguire persino il Social Forum in Tunisia, ma è con l’esplosione delle proteste in Giugno che i Midia Ninja hanno raggiunto le luci della ribalta.

Certo, non sono stati i primi a mescolare attivismo e giornalismo, aggiungendovi qualche dose di denunce e proteste dei cittadini, infatti il Brasile ha da sempre una rete molto attiva di gruppi di media alternativi come RioNaRùa, JornalismoB, Moqueca Midia o radiotube, ma i Midia Ninja sono stati i primi ad aver raggiunto una popolarità altissima,

impensabile ,all’inizio, per un gruppo nato da così poco.

Nel corso delle proteste, questi Ninja sparsi in tutto il Brasile( circa 200 ma con alle spalle altre 1000 persone)  hanno raggiunto 212 mila fan su Facebook e più di 13 mila followers su Twitter e alcune loro trasmissioni sono state seguite da più di 100 mila persone.

Il successo dei Ninja sui Social

Il successo dei Ninja sui Social

Bastava postare qualcosa su Facebook, fare un lancio su Twitter tramite l’account @Midianinja o l l’hashtag #Midianinja per attirare l’attenzione su un evento, poi il passaparola e la condivisione sul social network facevano il resto.

Anonimi (sebbene nelle riprese i vari Ninja mostrassero sempre il volto), dotati di strumenti all’avanguardia per riprendere i fatti e trasmetterli in streaming sul web, in generale studenti di giornalismo, per lo più provenienti da famiglie benestanti o della media-borghesia, desiderosi di riportare i fatti accaduti in Brasile senza censure né limitazioni, con il chiaro intento di ribellarsi ai media del Mainstream, accusati di non riportare la verità, ma di distorcerla e occultarla.

Questi giornalisti della strada non obbediscono alla formalità e ai rituali dei mezzi d’informazione tradizionali, infatti durante le proteste le immagini venivano trasmesse in tempo reale, senza nessun intervento.

Nessuna ripresa panoramica: le registrazioni avvenivano sempre dalla strada e il punto di vista era lo stesso del manifestante. Per questo, osservando i video e le dirette dei Midia Ninja, si possono notare un quantitativo molto alto di immagini mosse in mezzo alla gente che corre e lunghi spezzoni in movimento alla ricerca dei punti dove si raggruppano i manifestanti.

Le riprese risultavano, di conseguenza, essere grezze e non cercavano di spiegare allo spettatore cosa stesse succedendo: con il loro materiale, i Midia Ninja mettevano il pubblico direttamente al centro dell’azione senza alcun filtro.

Una caratteristica peculiare di questi Ninja dell’informazione: la maggior parte di loro non aveva una vera e propria formazione giornalistica, tanto che l’unico vero giornalista si chiama Bruno Tortura, che per undici anni ha lavorato alla rivista Trip, e si occupava durante le proteste di coordinare i servizi e orientare i “giornalisti” in giro per le strade.

In linea di massima la copertura dei fatti era guidata dall’istinto, da uno spirito da segugio senza addestramento o tecniche.

La notorietà dei Midia Ninja ha attirato l’attenzione di molti giornalisti dei media tradizionali, degli attivisti, dei direttori di quotidiani, degli studenti e dei cittadini in generale, i quali cominciarono a seguire minuto per minuto le azioni di questo gruppo che, sebbene fosse nato quasi due anni, ha ottenuto solo in Marzo il primo riconoscimento ufficiale.

Un’idea  apprezzata a tal punto che, durante le manifestazioni, per strada i commercianti prestavano le prese dei loro negozi per ricaricare le batterie dei computer, i sostenitori mandavano messaggi per mettere a disposizione delle troupe auto e altri materiali, chi viveva nelle vicinanze delle zone degli scontri condivideva le reti Wi-Fi e apriva la casa ai reporter in modo che potessero riposarsi o farsi una doccia senza allontanarsi troppo dai punti caldi.

Un Ninja in azione

Il loro equipaggiamento: i Ninja si recavano alle manifestazioni con un carrello della spesa carico di computer, batterie, un generatore di elettricità autonomo, un’antenna improvvisata,  macchine fotografiche, videocamere Procamera e cellulari per poter riprendere, trasmettere in diretta le riprese, grazie a connessioni Wi-FI o potenti connessioni dati come la 4G (presente in molte città brasiliane) e aggiornare gli utenti attraverso tweet, foto e post su Facebook.

Negli scenari peggiori, invece, quando gli scontri con la polizia caratterizzavano la protesta, l’equipaggiamento si limitava a un cellulare di ultima generazione, collegato tramite cavo a un computer portato in spalla, dentro uno zaino, che permetteva loro di registrare e ritrasmettere in diretta attraverso un software apposito di streaming portatile.

E anche seguire la loro cronaca live risultava molto semplice: bastava sintonizzarsi attraverso qualche sito di twitcasting e far partire il filmato in tempo reale su uno o più canali.

Nel mezzo delle proteste, infatti,  i Midia Ninja si avventuravano fino al cuore degli scontri per riprendere e molti di loro rischiavano di essere arrestati dalla polizia, infastidita dalle loro riprese.

Un Ninja ferito dalla polizia

Un Ninja ferito dalla polizia

In questi casi, quando la trasmissione cadeva, bastava passare su un altro canale, gestito da un altro ninja, per continuare a seguire il susseguirsi degli eventi.

Questi new journalists, desiderosi di riportare i fatti nudi e crudi, senza alcuna distorsione o censura, attraverso la loro copertura si sono rivelati molto più influenti ed efficaci di quanto lo siano stati molti media brasiliani.

Un esempio: quando tutta la portata digitale dei periodici e dei telegiornali era impegnata a seguire i dettagli dell’arrivo del papa a Rio de Janeiro, Facebook e Twitter ardevano di notizie relative alla detenzione dei Ninja, accusati di “istigazione alla violenza”, i quali avevano registrato il proprio arresto. La rete e questa ritrasmissione continua degli arresti costituivano l’unico modo attraverso il quale sapere in ogni momento cosa stesse succedendo di fronte al palazzo del Guanabara, sede del governo Statale, mentre Papa Francesco era ricevuto delle autorità del Brasile.

I Ninja hanno documentato rigorosamente tutte le proteste in Brasile, ma hanno anche generato un intenso dibattito riguardo ai loro modi del fare giornalismo e alcune loro mancanze: errori, sbagli, fraintendimenti, assenza di professionalità, un’evidente ingenuità e un giornalismo in alcuni casi schierato solamente in favore dei dimostranti.

Un errore grossolano si verificò in occasione dell’intervista esclusiva al sindaco di Rio, Eduardo Paes (PMDB), alleato del Partito dei Lavoratori della presidente Dilma Rousseff:   dalla sera alla mattina, un politico di alto livello aveva concesso un’intervista in esclusiva a una rete di giornalismo indipendente che fino a quel momento non aveva avuto il permesso di partecipare a nessuna conferenza stampa.

Quattro reporter di Midia Ninja parteciparono all’incontro senza aver avuto neanche il tempo per prepararsi le domande e il risultato fu disastroso: il sindaco li tenne nel suo ufficio per ore, mangiandoseli vivi sul piano dialettico e lasciandoli senza argomenti. Mentre scorrevano le immagini live, i commenti alla diretta si facevano impietosi: “Cosa siete andati a fare da quello là, vi sta fregando come pivelli…”

In parole povere: si dimostrarono totalmente inadeguati a intervistare un politico di una tale caratura.

L’intervista a  Paes  ha permesso ai Midia Ninja di ottenere visibilitá e una certa autorevolezza,( c’è stato anche chi li ha difesi)  però allo stesso tempo li ha messi in un vicolo cieco, esponendoli soprattutto a una valanga di critiche per essersi prestati a questa trappola mediatica che, alla fine, ha rivelato le debolezze del gruppo, mettendo in risalto le sue non-professionali origini, le sue mancanze e alcuni interessi di partito.

I critici li hanno accusati di essere un gruppo sponsorizzato e addirittura finanziato dal PT(partito politico di Dilma Rousseff), di contare sulle sovvenzioni di grandi industrie come la Vale o Petrobras, ben lontane dal voler proteggere gli interessi del collettivo FdE – come i diritti degli indios o dell’ambiente – e di avere un’organizzazione verticale che non ha niente a che fare con l’orizzontalità dei movimenti sociali che hanno dato vita alle proteste.

La diretta live con strumenti Citizen

La diretta live con strumenti Citizen

Fora do Eixo, il collettivo padre dei Midia Ninja, ha negato che aziende come Vale e Petrobras abbiano finanziato la rete e  ha marcato il fatto  che il 95% dei loro ingressi siano generati dall’attività culturale del gruppo.

Al contrario, rispetto alle accuse di avere interessi politici, i Midia Ninja non hanno negato tale inclinazione, anzi, hanno  confermato di avere rapporti con il PT e di dialogare con altri partiti di sinistra, incluso Rede, sostenendo che chiunque ha il diritto di dichiarare con chi si schiera e che non ci sia nulla di male a esprimere la propria implicazione politica.

I Ninja ci tengono proprio a trasmettere molto chiaramente l’idea politica che hanno del Brasile, i quali, anziché nasconderla dietro un velo di ipocrita neutralità, segno contraddistintivo dei mezzi d’informazione del mainstream.

I quali, a volerla dire tutta, non sono poi nemmeno sempre così neutrali e molto spesso rispondono solo ai propri interessi o a quelli dei poteri economici che li finanziano.

Per i Midia Ninja, la neutralità dei massmedia e’ solo una grande menzogna e non è un segreto che lo scopo dei Midia Ninja sia quello di sostenere i movimenti sociali, che storicamente non hanno mai avuto voce in molti dei media mainstream.

Un’altra accusa mossa contro di loro, è stata la mancanza di obiettività in alcuni casi, come nelle concitate trasmissioni dopo che il Papa aveva lasciato il palazzo del Governatore, in quella circostanza,  i Ninja non fecero alcun accenno al fatto che i lacrimogeni fossero partiti dopo che un poliziotto era stato quasi bruciato vivo da una molotov lanciata dai dimostranti.

Al di là delle critiche ricevute e delle zone d’ombra di questo movimento di Citizen Journalism, va riconosciuto un merito ai Ninja:  grazie alle loro riprese, è stato possibile mettere in luce i metodi brutali usati dalla polizia contro dei manifestanti pacifici, svelare come alcuni agenti della polizia si fossero infiltrati fra i gruppi dei dimostranti per aizzare gli scontri con le forze dell’ordine, in modo tale da delegittimare la credibilità dei movimenti e farli passare per dei semplici teppisti, e scagionare con i loro video dei dimostranti che erano stati ingiustamente arrestati.

Un altro merito dei Ninja, collegato all’incredibile successo ottenuto in internet, è stato quello di dimostrare, in maniera palese, quanto le persone fossero stanche di credere ai media tradizionali e di essere manipolate da loro e desiderose di trovare fonti indipendenti e nuove per comprendere quale fosse la verità effettiva.

In conclusione: come giudicare questi Midia Ninja?

Face to face con la polizia: il dovere di cronaca non teme niente a quanto sembra..

Face to face con la polizia: il dovere di cronaca non teme niente a quanto sembra..

Il loro motto: “Mostrare tutta la verità, non solo una sua parte, permettendo agli spettatori di seguire la realtà in diretta, grazie alle immagini e alle riprese live. Fare controinformazione per mostrare ciò che non fanno vedere i mezzi d’informazione allineati.”

I Midia Ninja possono essere visti come una minaccia al giornalismo tradizionale, ma allo stesso tempo sono un chiaro simbolo dei tempi che stanno cambiando.

Questi ragazzi, infatti,  hanno dimostrato come le regole del mestiere del giornalista siano mutate, evidenziando il divario che separa oggi il giornalismo di strada da quello dei grandi media, i quali troppo spesso si basano sulle informazioni dei comunicati della polizia.

I grandi gruppi come Globo e i quotidiani come Fohla de São Paolo sono stati costretti a riconoscere i meriti di questi Ninja e l’effetto dirompente che hanno avuto sul pubblico, ammettendo che raccontare le proteste come si faceva un tempo, basandosi su ciò che aveva visto il proprio inviato, sulla versione della polizia e sulle immagini delle tv, non fosse più sufficiente.

Addirittura la rete Globo, durante le proteste di Giugno, arrivò a trasmettere i filmati dei ninja e a offrire approfondimenti sulle notizie diffuse dal collettivo, dimostrando, non senza imbarazzo, la loro incapacità di essere sulla notizia al pari di questi giovani pseudo – giornalisti.

In virtù di questa ascesa dei Midia Ninja, sicuramente nei prossimi mesi sentiremo ancora parlare di loro, probabilmente in corrispondenza dei grandi eventi che si terranno in Brasile nei prossimi anni, ovvero il Mondiale di calcio e le Olimpiadi del 2015.

In conclusione: questi Midia Ninja brasiliani possono essere definiti come uno dei più efficaci esempi di Citizen Journalism nella storia del Giornalismo 2.0, portando alla luce un fenomeno sempre che sta acquisendo sempre più importanza.

“Le persone hanno compreso che possono esse stesse realizzare dei reportage e condividerli in tempo reale, senza che sia necessario essere giornalisti per fare ciò.”

 

5) CASO 2 : Incidente aereo  a San Francisco, David Eun: il manager e lo scoop da grande giornalista

 

L'incidente di San Francisco

L’incidente di San Francisco

Il 6 luglio 2013 alle 11:27 (le 20:27 in Italia), un Boeing 777 dell’Asiana Airlines, una compagnia aerea sudcoreana, si schiantò all’aeroporto di San Francisco mentre era in fase di atterraggio.

Ci furono alcune vittime nello schianto, per la precisione due ragazzine di 16 anni originarie di Jiangshan, nella provincia dello Zhejiang (Cina orientale) e numerosi feriti, anche gravi. Le cause dell’incidente furono la mancanza d’esperienza del primo pilota con quella tipologia specifica d’aereo. Quest’ultimo aveva, infatti, svolto solo 44 ore di volo con quel modello, e la mancanza a causa di un guasto nell’aeroporto di San Francisco del cosiddetto Glide Slope, uno strumento per aiutare i piloti nella fase di atterraggio.

IL VIDEO AMATORIALE DELLO SCHIANTO: 

http://youtu.be/MJUjguGLG6Q

Il velivolo, scendendo a una velocità troppo lenta, urtò con la coda la baia situata all’inizio della pista d’atterraggio, andando in pezzi e facendo perdere il controllo dell’aereo al pilota, il quale nel tentativo d’atterrare) non poté evitare la catastrofe.

L’aereo, proveniente da Seul, trasportava 16 membri dell’equipaggio e 291 passeggeri, tra questi un top manager di una multinazionale di nome David Eun, il quale, una volta riuscito a mettersi in salvo dalle fiamme che avevano lambito il velivolo, divenne per alcune ore la classica persona “al posto giusto nel momento giusto”.

Immaginate un aereo in fiamme, mezzi dei pompieri che intervenivano, gente che urlava, piangeva, scappava da tutte le parti, sirene, fumo e, nel mezzo di tutto ciò, una persona che, impugnato il proprio smartphone, narrava cosa stesse succedendo davanti ai suoi occhi e rassicurava tutti sul proprio stato di salute con una freddezza impressionante e uno stile asciutto, non consapevole che il suo gesto (quasi istintivo) avrebbe fatto la storia nel mondo del

Il primo tweet di Eun

Il primo tweet di Eun

giornalismo.

Ecco il primo tweet di David Eun, direttamente dalla pista dell’aeroporto di San Francisco, a una ventina di metri dall’aereo in fiamme:

«Il B777, senza la coda, è adagiato sul prato bruciacchiato dal sole del San Francisco Airport (SFO). Un ampio pennacchio grigio emerge dalla carlinga, con i due scivoli srotolati. In primo piano, a sinistra, un uomo fa una foto con un cellulare, mentre decine di passeggeri scappano dall’aereo in fiamme. Colpisce una signora dalla giacca turchese: sta correndo con il suo trolley ».

Mentre le sue foto e i suoi tweet facevano il giro del mondo, rimbalzati da televisione e giornali, le quali erano affidate a lui e alla sua cronaca come unico mezzo di contatto “giornalistico” con il luogo dell’incidente, i  vari giornalisti non potevano fare altro che rimanere incollati ai propri pc in attesa di nuove “notizie” da parte di David, limitandosi a copiare e incollare ciò che scriveva Eun su Twitter.

Ma chi è esattamente David Eun?  E’ un top manager della Samsung, un passato a Google e Facebook, una laurea ad Harvad e una specializzazione nel mondo dei media.  E’ un frequent flyer, facendo la spola fra gli States e l’Asia ed è Executive Vice President e responsabile dell’Open Innovation Center (OIC) dal Gennaio 2013.

Colpisce come questo signore, trovatosi lì per caso tra la carlinga in fiamme e la fusoliera spezzatasi a metà, anziché farsi prendere dal panico, sia stato in grado, con 4 tweet, di chiarire le “5w” del giornalismo( when, where, what, why, who) spiegando cosa fosse successo, dove, come e  arrivando a chiedere, addirittura, ai propri amici e parenti di non telefonargli perché tanto stava bene e a rimandarli con un link a Path, un social network che collega amici e familiari di un determinato utente.

Ecco un suo altro tweet (con un filo in più di enfasi rispetto al primo):

 

«Sto bene e la maggior parte della gente è calmissima e sta lasciando fare ai vigili del fuoco e ai soccorritori il loro mestiere. Come ai tempi dell’11 Settembre, la maggior parte della gente si comporta benissimo e cerca di essere utile in un momento di crisi ».

 

I Tweet di David Eun

I Tweet di David Eun

Mentre i follower sul suo profilo Twitter aumentavano vertiginosamente (passando da poche centinaia a circa 25mila in pochissime ore) David Eun proseguiva la sua cronaca dell’incidente, che per l’asciuttezza ricorda molto il “De Bello Gallico” di Giulio Cesare, trovando il tempo persino per polemizzare(sia pure con sobrietà ed educazione) con la CNN, che sempre via Twitter, lo stava tartassando con la richiesta di un’intervista audio:

 

«Non voglio spostare l’attenzione dall’incidente.Sto postando aggiornamenti solo per far sapere che la maggioranza dei passeggeri sembra stia bene ».

 

Anche qui, parole caute ed equilibrate, quelle che dovrebbe usare ogni reporter in certi casi, perché, in effetti, il dubbio che ci fossero vittime stava iniziando ad aleggiare, e sicuramente se lo pose anche lui, ma non voleva preoccupare inutilmente chi stesse cercando in quel momento informazioni sull’accaduto.

Dopo l’evacuazione dell’aereo e la messa in sicurezza di tutti i passeggeri, David Eun conclude la sua improvvisata cronaca live dell’incidente ringraziando tutte quante le persone che si erano interessate a lui e promettendo nuovi post, da vero giornalista provetto, per mantenere le persone aggiornate su ulteriori sviluppi.

Nell’ultimo tweet a circa un giorno di distanza dallo schianto, rimbalzato su
Path, si dilunga un po’ di più sui suoi fatti personali: «Un po’ scosso per l’esperienza di ieri». Naturalmente trova il tempo per ricordarsi dei« morti, dei feriti. E di quei due bambini che spero non siano rimasti troppo traumatizzati».

LA CRONACA CNN DELL’INCIDENTE: 

Questa storia, sfortunatamente collegata a un evento tragico come un incidente aereo, permette di appurare come il mondo del giornalismo sia cambiato oggi, confermando quell’impronta Citizen, che indissolubilmente sta iniziando a caratterizzare l’informazione del XXI secolo.

Basti pensare a David Eun: diventato, suo malgrado, un protagonista della storia del giornalismo contemporaneo, battendo sul tempo le agenzia di stampa tradizionali e le tv all news con un semplice smartphone, attraverso Twitter, dimostrando un fatto inequivocabile: il presente vive d’informazione, di breaking news battute pochi minuti dopo l’avvenire di un fatto, a una velocità e una rapidità tale da impedire a qualsiasi mezzo d’informazione classico di essere prontamente sull’evento per documentarlo.

Una nuova realtà talmente cambiata che non può fare più a meno dei contributi Citizen in alcuni frangenti o condizioni estreme.

David Eun e la sua cronaca da dieci e lode ne sono la prova palese.

 

6) CASO 3: Alexei Navalny , il blogger antiPutin:  personaggio scomodo o voce della verità in Russia?

“Buongiorno, mi chiamo Alexei Navalny, ho 37 anni e vivo a  Maryno, in periferia.

Alexei Navalny durante una manifestazione

Alexei Navalny durante una manifestazione

 Sono un moscovita comune, uno come voi, con i vostri stessi  problemi”.

Cosí si presentava Alexei Anatolievich Navalny , in stile americano  alla “Obama prima maniera”, durante la campagna elettorale del  Settembre 2013 per diventare sindaco di Mosca.

Bandito dalla tv pubblica su ordine del Cremlino, questo avvocato, simbolo della middle-class, si era candidato alle elezioni cittadine con

l’intento di vincerle per poi puntare direttamente alla candidatura presidenziale.

Il motivo? Opporsi a Vladimir Putin, l’attuale presidente della Russia.

La comparsa di Alexei Navalny sulla scena politica russa ha portato una ventata di aria fresca al sistema, presentandosi come la prima vera minaccia ai 13 anni di potere incontrastato del presidente Putin.

Non a caso, il 17 Luglio del 2013, Navalny è stato condannato a 5 anni di reclusione da un tribunale di Kirov per una ridicola accusa di furto di legname: in parole povere, Alexei e il fratello sono stati accusati di essersi impossessati di  400mila euro sottratti a un’azienda statale, la KirovLes, durante il periodo in cui Alexei era consigliere comunale.

La vicenda risale a un anno e mezzo fa quando Vyacheslav Opalyov, direttore dell’azienda, aveva chiesto a Navalny consulenza per sottoscrivere con la compagnia Vyatskaya Lesnaya alcuni contratti risultati poi svantaggiosi. La KirovLes oggi è sull’orlo della bancarotta, ma certo non per colpa di Navalny quanto della gestione dissennata di Opalyov, eppure quest’ultimo non  ha esitato a denunciare il blogger per danni procurati all’azienda pari a 2 milioni e mezzo di euro.

Alexei venne  rilasciato dopo solo 2 giorni (Navalny fin da subito si è professato innocente), e questa accusa, dal mondo intero vista come una mera falsità, sembró semplicemente come la dimostrazione palese di un fatto: Putin teme veramente l’ascesa di questo rampante avvocato.

Navalny scortato in prigione

Navalny scortato in prigione

Sebbene alle elezioni comunali di Mosca abbia ottenuto solo il 27%, perdendo la corsa alla poltrona di sindaco (anche se il giovane blogger ha accusato il governo di brogli elettorali) è inconfutabile che le azioni di Navalny siano senza precedenti nella storia politica russa.

Ma come si è potuti arrivare a questa situazione? Chi è veramente Alexei Navalny e cosa c’entra un apparente politico in ascesa con il Citizen Journalism?

Alexei Navalny è ed è stato innanzitutto un blogger, uno dei più influenti dell’intera Russia.

Nel 2011 e nel 2012, il giornale Foreign Policy ha annoverato Navalny fra i “Top 100 Global Thinkers”, per aver contribuito a portare maggiore trasparenza nel mondo, mentre il Time nel 2012 lo ha inserito nell’elenco delle 100 persone più influenti al mondo, unico Russo incluso nella lista.

Nel 2013, il magazine Prospect, dopo un sondaggio online, lo ha dichiarato #48 fra i 100  più grandi pensatori del mondo, mentre il Wall Street Journal lo definì come “L’uomo di cui Vladimir Putin ha più paura”.

Tutta questa notorietà è stata raggiunta da Alexei Navalny grazie al suo blog, ospitato dal sito web LiveJournal, nel quale, fin dal 2008,  iniziò ad attaccare direttamente Putin e i suoi alleati, accusandoli di corruzione e di commettere reati contro la popolazione russa, inoltre, sempre tramite il suo blog, Navalny organizzava manifestazioni politiche contro il Cremlino e pubblicava documenti incriminanti

Il suo blog raggiunse l’apice del successo quando, nella sua battaglia contro la corruzione in Russia, iniziò a pubblicare alcuni pezzi contro alcune grandi aziende russe a controllo statale.

Navalny riusciva a ottenere documenti top secret e a scavare in profondità nei panni sporchi delle varie compagnie e banche tramite la sua grande conoscenza di internet, alcuni strumenti del giornalismo investigativo e delle tecniche, totalmente legali e dunque difficili da contrastare, come quella di acquistare piccole quote di società controllate dallo stato, diventando così azionista di minoranza. In quanto parte della compagnia stessa aveva cosí il diritto a ottenere informazioni che spesso non venivano rese pubbliche, e che lui provvedeva a renderle tali.

Più Navalny pubblicava scoop e rivelazioni sul proprio blog, più la sua fama aumentava e ,insieme a essa, le persone disposte ad aiutarlo e a scendere in piazza per manifestare contro la corruzione del governo.

Una delle notizie più clamorose pubblicate fu quella riguardante l’azienda, che si occupa di trasporto del petrolio, Trasneft: secondo il blog di Navalny, alcuni dirigenti di questa compagnia si erano appropriati illegittimamente di ben 3 miliardi di dollari durante la costruzione dell’oleodotto che avrebbe collegato l’Oceano Pacifico con la Siberia Est.

Nel Dicembre 2010, Navalny annunciò, sempre attraverso il suo blog,  il lancio di un progetto chiamato Rospil.info, il wikileaks russo, il quale

Rospil.info, il wikileaks russo

Rospil.info, il wikileaks russo

quale avrebbe fatto luce su molte pratiche corrotte portate avanti dal governo nell’acquisto di determinate attività: il progetto faceva leva su una legge di regolamentazione delle varie acquisizioni pubbliche, nella quale si obbligava il governo a rendere pubbliche online  tutte le varie offerte fatte e le eventuali vincite.

Nel 2011, il blogger arrivò addirittura a definire il Cremlino come: “Un partito di truffatori e ladri”, affermazione che poi divenne un suo popolare slogan, soprattutto in campagna elettorale.

 

Navalny appena uscito dal carcere

Navalny appena uscito dal carcere

Ma è con il 2011 che Alexei Navalny iniziò a diventare veramente un personaggio scomodo per Putin e i suoi alleati, mentre in precedenza era stato semplicemente ignorato.

Dopo la pubblicazione di alcuni documenti riguardanti delle compravendite poco chiare di immobili fra il governo ungherese e il governo russo, grazie a delle compagnie offshore, fu con le elezioni parlamentari del Dicembre dello stesso anno, nella quale si sospettarono alcuni brogli elettorali,  che scoppiarono le proteste di piazza e le manifestazioni contro Putin.

Manifestazioni promosse e guidate naturalmente da Alexei Navalny, il quale venne arrestato dalla polizia il 5 Dicembre e fu detenuto in prigione per 15 giorni prima di essere rilasciato: contro di lui non c’era alcun capo d’accusa.

Negli stessi giorni uscì la versione inglese del suo blog.

La fama di Navalny era talmente grande da spingere la BBC  e il Moscow Time a definirlo come: “La sola e unica figura di spicco dell’Opposizione politica russa in grado di emergere negli ultimi 5 anni”.

Tanto famoso e influente da ritenere che le  attuali accuse contro Navanly siano state costruite ad arte dai colossi Transneft e Vtb, di cui Rospil aveva denunciato episodi di malversazione: la prima, come giá citato sopra, si era impossessata di 3 miliardi durante la costruzione di un oleodotto, mentre la seconda  si sarebbe intascata  un totale di 117 milioni di euro nell’ambito di un accordo per l’acquisto di 30 trivelle dalla compagnia  cinese Sichuan Honghua Petroleum Equipment Company.

Oggigiorno, sebbene su di lui penda ancora la sentenza del tribunale di Kirov (sospesa a Ottobre 2013), una accusa che Navalny ha sempre definito “campata su due piedi” e una mera farsa per metterlo fuori gioco,  il giovane blogger può essere considerato un rivoluzionario politico,  il nemico N° 1 di Putin, la nemesi del Cremlino, la persona che fa più paura a tutto il sistema corrotto della politica russa.

Al di lá dei fatti, cosa rappresenta questo blogger, divenuto politico, simbolo di una società che sta emergendo e non più disposta a sopportare uno pseudo – regime come quello di Vladimir Putin?

Bill Keller, un editorialista del New Tork Times scrive:

La piattaforma politica di Navalny  abbina il libertarismo del libero mercato , gradito alla borghesia russa in ascesa, a una campagna ininterrotta contro la corruzione, che ha vasto eco in una nazione nella quale si ha la perenne sensazione che ogni transazione debba comportare una tangente (la Russia occupa un umiliante 133esimo posto nell’indice di Transparency International) […].”

Uno studio legale di Chicago ha preso in esame il suo caso e ha concluso che le accuse sono ridicole e infondate – scrive ancora Keller. – Tanto più se si pensa che il capo della Commissione investigativa che si sta occupando del caso (tale Alexander Bastrykin) è uno dei potenti finiti nel mirino di Navalny (sul suo blog l’attivista ha pubblicato dei documenti dai quali risulta che Bastrykin possedeva segretamente un permesso di soggiorno e una proprietà immobiliare nella Repubblica Ceca) dando adito a parecchie domande sulla fiducia da lui millantata nel futuro della Russia”.

Constatato che il processo contro Navalny sia una montatura ad arte, è possibile considerare questo giornalista proveniente dal popolo come un nuovo Assange?

In molti, soprattutto all’estero, lo hanno fatto, viste le similitudini fra Alexei e il fondatore di Wikilieaks, come l’uso della rete per diffondere documenti contro la corruzione e l’ingiustizia, e il fatto che le dichiarazioni del blogger russo abbiano scatenato un caso mediatico al pari di quello dell’ Hacker australiano.

Un’altra similitudine con Assange è la persecuzione giudiziaria: il fondatore di Wikileaks accusato dalla Svezia di stupro e arrestato a Londra,  l’attivista russa per  una accusa di frode.

Alexei Navalny, 34 anni, è stato definito il Julian Assange russo per l'attività di denuncia contro la corruzione che porta avanti sul suo sito Rospil.info

Alexei Navalny, 34 anni, è stato definito il Julian Assange russo per l’attività di denuncia contro la corruzione che porta avanti sul suo sito Rospil.info

Pur essendo entrambi simboli di una crociata per aumentare la trasparenza nei governi,  vi è  una differenza fra i due personaggi: 
a differenza di Wikileaks, Rospil non  ha mai pubblicato materiale top secret, usando semplicemente documenti delle amministrazioni e la legislazione russa per dimostrare che certi apparati statali conducevano business in modo illegale e spesso anticostituzionale.

Il successo di Navalny,  partito da un blog e da una semplice attività di denuncia Citizen, ha portato questo blogger a diventare una delle persone russe più influenti al mondo e in grado di minacciare seriamente la leadership di Putin alle prossime elezioni presidenziali.

Oggigiorno, Alexei Anatolievich Navalny sembra essere disposto a tutto pur di rimanere fedele alla sua battaglia, nonostante le accuse, le censure, i blocchi, le minacce, gli arresti, le violenze e gli attacchi pubblici di Putin, volti a sminuire e denigrare la sua persona. Il blogger é convinto che la corruzione in Russia non sia «un fenomeno culturale», come molti sostengono, e che ci sia ancora «una speranza di migliorare», se solo la classe politica «smettesse di mangiare vivo il Paese».

Storiche le sue parole, pronunciate subito dopo l’apertura dell’inchiesta a suo carico sul blog di LiveJournal:

“Cari ladri era scontato che vi sareste comportati così, ma non ho paura e tornerò da voi, miei cari corrotti. Il mio lavoro andrà avanti anche se un giorno mi accuserete del furto dell’iPad del presidente Medvedev”. 

6.1) Un giudizio sui Case Studies dei Midia Ninja, di David Eun e del blogger Navalny:  

(edited by Nicoletta Ordonselli per il progetto “1 Thesis, 1 Web, 1 Goal”)

In quanto studentessa di giurisprudenza, dopo aver letto con attenzione e interesse questo progetto sul Citizen Journalism e i casi annessi, non ho potuto fare a meno di riflettere anche in chiave giuridica sulle tue parole: per questo motivo mi è subito balenato in mente, dunque mi permetto di tirarlo in causa, uno dei capisaldi della nostra cara Costituzione italiana, risultato di sforzi non indifferenti diretti a far riemergere finalmente quei diritti, quegli ideali e quelle libertà che fino a quel momento erano stati totalmente soppressi.

Mi riferisco proprio all’art. 21, che è sicuramente il più inerente all’ambito giornalistico e sancisce infatti il diritto “di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
In particolare, al comma 2 si parla proprio di libertà di stampa, la quale, secondo la fonte di più alto rango nella gerarchia del nostro diritto, “non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

I Midia Ninja, pur non essendo nostri connazionali o giornalisti professionisti, possono senz’altro considerarsi coraggiosi e fieri portatori di un principio nobile che noi Italiani evidentemente abbiamo saputo mettere solo su carta ma mai in pratica, soprattutto al giorno d’ oggi in cui forse gran parte della comunicazione mediatica (perdonami il termine forte) è mafia. Infatti è sicuramente vero che il giornalista, così come il giudice, ha il compito di riportare la realtà dei fatti nel modo più imparziale possibile, per poter permettere a tutti di accedere ad un’ informazione obiettiva, ma è anche abbastanza scontato che sia nel riportare un fatto, sia nell’ emettere un giudizio, chiunque in quanto uomo e non macchina probabilmente farà emergere (se non esplicitamente almeno fra le righe) il proprio orientamento e la propria opinione in merito a qualsiasi questione. Sta dunque anche e soprattutto a noi essere sempre vigili nel recepire la realtà e l’ informazione indipendentemente da ciò che troppo spesso coloro i quali pensano di averne il potere cercano di far assorbire ai nostri cervelli, come fossero spugne di menzogne e banalità. A conferma di tutto ciò, credo che il caso di Alexei Navalny parli piuttosto chiaro: ancora oggi c’è chi ritiene di poter censurare la verità con la forza, quando l’ unica forza in grado di non essere sconfitta e manipolata dal potere (tantomeno politico) dovrebbe essere quella del pensiero.
Infine, per quanto riguarda David Eun, il suo caso mi ha suscitato qualche dubbio in più rispetto agli altri in quanto mi ha portata a riflettere sul ruolo talvolta ambiguo che i social network rischiano di acquisire nel campo dell’ informazione: sicuramente non ho elementi per confutare la buona fede del Sig. Eun, ma capita spesso a mio parere che alcuni soggetti siano più interessati ad aumentare i propri followers su Twitter o ad apparire agli occhi del popolo di Facebook gli eroi della situazione, piuttosto che a fornire realmente informazione (anche se poi indirettamente magari lo fanno), quindi anche in questo ambito secondo me è fondamentale essere molto cauti nel saper distinguere i ciarlatani dai veri Citizen journalists (e ripeto non sto parlando in particolare di Eun, anche perché di certo la notorietà non gli mancava già prima).
Ho apprezzato molto in ogni caso questi Case Studies, tanto che mi sono domandata: ci saranno altrettanti esempi di personaggi e di storie come quelle che hai riportato anche in Italia? Nonostante il “pessimismo cosmico” in cui siamo talvolta abituati a rintanarci soprattutto in questo periodo, in cuor mio spero proprio di sì, o meglio spero ancora che vi siano molte persone e molti Italiani a credere fermamente nelle parole di Voltaire, il quale affermava:

Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”.

 

7) CASO 4: Un viaggio alla scoperta dell’ “altro” Iraq: la mia esperienza nel Kurdistan iracheno

[PREMESSA:  Questo capitolo della tesi cambia un po’ rispetto ai precedenti, in quanto sarà una narrazione in prima persona, molto breve perché a raccontarla tutta ci vorrebbe una tesi a parte, del mio viaggio in Iraq, svoltosi a cavallo fra Marzo e Aprile 2013, per documentare delle eccellenze italiane presenti in Iraq e di questa regione, il Kurdistan iracheno, completamente in antitesi con il resto del Paese.

Passare da studente a giornalista direttamente sul campo]

La piazza di Arbil by Night

La piazza di Arbil by Night

Un capodanno a Istanbul, l’incontro con una ragazza irachena, un’idea nata su un aereo di ritorno da Londra e una possibilità offerta a una persona qualunque da un famoso quotidiano nazionale(il CdS) , grazie a una professoressa che ci aveva messo in contatto.

Sono questi i presupposti che spiegano il mio viaggio in Kurdistan: ricordo ancora quando dissi a mio padre che sarei partito per l’Iraq di lì a poco tempo, mi prese subito per pazzo. Completamente fuori di testa.

Non riusciva a concepire il perché volessi azzardare un viaggio così difficile, all’apparenza così pericoloso. In fondo, si trattava pur sempre di Iraq, non di una semplice vacanza in chissà quale città europea. Inoltre, non avevo mai avuto esperienza nel mondo del giornalismo, non avevo mai intervistato nessuno in vita mia e figuriamoci se sapevo come si maneggiasse una fotocamera. Quindi che senso aveva la cosa? Ero un neofito. A tutti gli effetti.

Eppure da sempre sognavo di provare, anche per poco, questo mestiere, assaporarne il significato, direttamente sul campo, alla ricerca di una notizia in un posto dove non molta gente della mia età era stata finora. Volevo partire dall’estremo, senza mezze misure. Rischioso? Dipende dai punti di vista.

L'albero della vita di Erbil

L’albero della vita di Erbil

La ragazza conosciuta a Istanbul mi aveva invitato a farle visita, un giorno, a casa sua, precisamente Arbil (capoluogo della regione autonoma del Kurdistan iracheno), nel nord dell’Iraq. Accettai l’invito.

Mi avevano stuzzicato i suoi racconti e le sue storie: immaginate la mia incredulità e scetticismo, ascoltando questa ragazza che mi parlava della sua città, di come non ci fossero attentati lì e di come la gente vivesse tranquillamente, senza alcuna paura.

Io non ci credevo e volevo vedere con i miei occhi, ma aveva ragione. Mi dovetti ricredere. Atterrato a Arbil, dopo un lungo volo e una notte passata nello scalo di Dubai (per risparmiare soldi), arrivai all’aeroporto colmo di paure e incertezze. Ero veramente lì, in Iraq, dalle parole si era passati direttamente ai fatti. O, chissà, magari dalla padella alla brace. Figuriamoci poi in Italia, dove amici e parenti mi avevano messo in guardia su tutto, facendo salire l’ansia a livelli spasmodici. Ma quello che scoprii cambiò tutto il modo di vedere le cose rispetto a quando ero in Italia.

Arbil e, in generale, il Kurdistan iracheno è un mondo strano, diverso, parallelo, a cavallo fra un passato fatto di tradizioni e un futuro rivolto alla globalizzazione. Immaginate una popolazione come quella dei curdi, perseguitati per decenni fino all’inverosimile dalla dittatura di Saddam Hussein, finalmente liberi e padroni del proprio destino.

Un destino dal colore del petrolio che ha trasformato una regione devastata dalla guerra e dal governo dittatoriale di Baghdad in un’oasi di benessere e, per quanto solo apparente, normalità. Un tè alla mela preso in compagnia di amici nel quartiere cristiano di Ankawa, una cena a base di pollo con riso nello scintillante e molto occidentale centro commerciale “Family hall”, una serata in compagnia di anziani, fumando Narghilè, nella Qalla (la piazza centrale della città, sotto l’antica Cittadella) bastano per capire come le cose stiano cambiando a una velocità incredibile da queste parti.

Panoramica di Erbil

Panoramica di Erbil

Sembrano delle sciocchezze, delle cose normalissime per chiunque, eppure da queste parti, solamente sette anni fa, nulla di tutto ciò sarebbe stato anche solo lontanamente pensabile. E io ero in Iraq per documentare tutto ciò.

Armato di un Nokia Lumia 920 per coprire il comparto fotografico, di un Ipad 3 per girare dei video, di un taccuino e, a volte, della totale inconsapevolezza di dove fossi, il mio reportage ebbe una svolta grazie all’incontro con il console italiano di Arbil, Simone de Santi, il quale mi mise di fronte a uno scenario che pensavo impossibile in un posto come l’Iraq: le eccellenze italiane e il loro contributo alla crescita economica e sociale del Kurdistan iracheno.

Dovete sapere che in Iraq vivono moltissimi italiani, per lo più imprenditori, che hanno trovato fortuna importando il loro know how in questa terra e, tramite la mediazione del console, potei incontrarne alcuni, intervistarli, riprenderli, ascoltare le loro storie e le loro esperienze. Erano persone incredibili, gente proveniente da mondi completamente diversi dal mio.

INTERVISTA AL CONSOLE SIMONE DE SANTI: 

Ma, in fondo, per vivere in posti come questi, bisogna essere un po’ fuori dal comune.

Lungo la mia permanenza ho avuto la possibilità anche di approfondire la conoscenza della cultura mussulmana, grazie alla mia amica Shireen e il mio amico Nazar, un signore del luogo che mi faceva da autista, da traduttore, da assistente ed era in grado di parlare italiano, in quanto aveva vissuto molti anni in Italia. Insomma: un vero e proprio stringer.

La Heevie Nazdar for children

La Heevie Nazdar for children

Desideroso di conoscere tutta la regione, scoprii che il contributo italiano non si limitava solo all’aspetto economico, ma anche a quello sanitario e archeologico. A Duhok, una cittadina al confine con la Turchia, incontrai una signora di nome Bakshan Ali Aziz, che aveva fondato un’Ong dal nome Heevie Nazdar for Childreen e curava bambini malati di cuore grazie a collaborazioni con ospedali italiani, mentre alla cittadella di Erbil, conobbi Irene Zanella, una restauratrice di beni librari che si occupava di insegnare le tecniche di restauro a degli specialisti provenienti da tutto l’Iraq. Sorprendente vero?

Durante il mio viaggio attraverso il Kurdistan, ho potuto vedere e scoprire molte cose, intervistando imprenditori italiani e curdi, girando la città(specie da solo) e andando a cena con Shireen, ma non dimenticherò facilmente due episodi che, in qualche modo, sono rimasti indelebili dentro di me: il primo avvenne una sera, mentre ero in hotel, sentii dei colpi di mitra provenire da

Il restauro dei beni librari

Il restauro dei beni librari

non molto lontano il posto in cui ero.

Immaginate la paura del sottoscritto. Temendo il peggio, passai la notte in bianco, per poi scoprire, la mattina dopo, che i colpi erano stati causati da uno scontro a fuoco fra la polizia curda e dei rapinatori siriani, chissà magari dei semplici profughi provenienti dal paese limitrofo.

Domandai il perché di una simile sparatoria, addirittura in piena città, e la risposta dell’albergatore arrivo’ subito, lasciandomi di stucco:

“Qui prima si agisce e poi si fanno le domande. Funziona così. Nessun dubbio. Sarebbe troppo pericoloso permettere che si diffonda la microcriminalità in questa regione”.

Il secondo episodio è molto più personale. Dovevo intervistare una signora italiana, Angela Bizzaro, che gestisce il Museo Mesopotamico di Sulaymaniyah, una città a confine con l’Iran, e, per arrivare lì,  le possibilità erano solo due: passare per un sentiero di montagna o utilizzare l’autostrada che attraversa Kirkuk, la città di confine con lo Stato Iracheno.

Il museo mesopotamico di Sulaymaniyah

Il museo mesopotamico di Sulaymaniyah

Il giorno prima era esplosa un’autovettura di fronte la moschea principale del centro storico, in quanto la città è luogo di conflitto fra Curdi e Iracheni e gli attentati di estremisti sono, purtroppo, frequenti. La cosa però non m’importava molto (beata incoscienza) quindi decisi lo stesso di optare per la seconda ipotesi (la via più rapida). Non avevo tempo da perdere.

Arrivati a Kirkuk, scopro che l’autostrada costeggia la città e che un ponte rialzato permette di osservare il paesaggio dall’alto: sono momenti di tensione, più che altro, mi colpisce molto pensare che tra quelle case, in quelle strade, ogni giorno la vita e la morte s’incrociano.

A confine con l'Iraq

A confine con l’Iraq

Vedere quella zona di confine e di conflitti così da vicino, eppure da così lontano. Una sensazione strana, quasi surreale. Il driver della vettura mi aveva garantito che il viaggio sarebbe stato sicuro, eppure nessuno poteva prevedere un piccolo dettaglio. Durante il tragitto, sconfinai in territorio iracheno senza accorgermene… e senza visto per l’Iraq. Ovviamente in questi casi, basta un attimo perché le cose si mettano male: a un check-point fuori Kirkuk, la mia macchina viene fermata e controllata. Non sono in regola e il mio passaporto viene dichiarato illegale per mancanza di visto.

Ovvero: dovevo essere scortato fino alla stazione di polizia, nel centro della città, per i dovuti controlli e quasi certamente per un probabile fermo. Le cose non si stavano mettendo bene. Poi il mio driver, con un colpo di genio o, forse, di follia, parla con il poliziotto e gli sussurra in curdo “Sarchaw” (che tradotto significa “Sui miei occhi”), il saluto dei curdi. Non so poi cosa successe veramente, ma dopo dieci minuti passati con i rivoli di sudore freddo che mi scorrevano lungo la schiena, alla fine, fui lasciato libero.

Domandai al driver cosa si fossero detti, ma lui mi liquido’, con un discreto aplomb,  rispondendo:

“Semplice: gli ho detto che eri un famoso giornalista italiano e che dovevi recarti a Sulaymaniyah per intervistare la moglie del presidente iracheno, Jalal Talabani”.

Lo guardoaia metà fra lo sconvolto e l’incredulo, eppure gli sono grato: senza il suo provvidenziale intervento, mi sarei sicuramente cacciato in un bel guaio….

Sui monti di Duhok

Sui monti di Duhok

Il fatto è che il Kurdistan iracheno è un paese che sta cambiando, crescendo, si sta aprendo al turismo e culla il sogno di diventare una nuova Dubai, prima o poi. Di conseguenza, i turisti sono trattati con un occhio di riguardo. Se fossi stato un cittadino qualsiasi, non credo che avrei subito lo stesso trattamento.

Il viaggio prosegue fra interviste a imprenditori e figure istituzionali e me la cavo, nonostante il mio impaccio, il frequente improvvisare durante le interviste e i timori nel formulare le domande che mi servivano agli intervistati.

Non dimenticherò mai le nottate, durante la mia permanenza in terra curda, per scrivere il diario della giornata sul mio blog www.duemondi.net, pubblicando foto e video e registrando con l’ipad un videomessaggio con le impressioni della giornata.

La stanchezza, le alzatacce, il mio essere tremendamente alle prime armi, l’arrangiarmi con quello che avevo: la voglia di fare e l’adrenalina erano tali, che credo avrei potuto superare qualsiasi cosa.

In tutto ciò, il telefono squillava di continuo: era mio padre che, nonostante le rassicurazioni e il fatto che gli avessi detto che li’ ero molto più al sicuro che in Italia, volevea sentirmi minimo tre volte al giorno per sapere come stessi.

Una cosa devo ammettere: non sarei mai stato in grado di fare tutto quello che ho fatto in Iraq se non avessi incontrato tutte brave persone lungo il mio cammino: ovunque andavo, venivo accolto con gentilezza e spontaneità, tanto che, dopo aver intervistato un giornalista del Kurdistan News, chiesi (alla fine) quanto gli dovessi per l’intervista, ma lui mi bloccò, dicendo:

Non voglio nulla, mi basta solo sapere che parlerai bene di noi e del Kurdistan. E’ questo ciò che importa..”

Intervista a Azaa Hsib, giornalista del Kurdistan News: 

Purtroppo è impossibile descrivere tutto ciò che ho potuto vedere e provare durante il mio viaggio in Kurdistan, tuttavia le sensazioni provate, la gentilezza della mia amica nell’accompagnarmi ovunque, gli stessi italiani che vivono ad Arbil che mi invitavano a cena, a bere, il console e l’assistente,  mi fecero sentire come se fossi stato uno loro, come una persona che stava condividendo con loro lo stesso destino.

A cena con Shireen

A cena con Shireen

In fondo, data la giovane età, per loro doveva sembrare molto strano che, un ragazzo come me, fosse tutto solo in giro da quelle parti o, forse, perché nasce una sorta di complicità e alleanza fra quelle poche persone che decidono di avventurarsi in Kurdistan. Tuttavia solo così ho avuto modo di conoscere questa regione, terra di Sumeri, Assiri, Babilonesi, Persiani e Ottomani, e di poterne comprendere lo spirito.

Il desiderio di rinascita.

Se avessi scelto diversamente, non so se sarei riuscito a vedere e vivere le cose nella stessa maniera. Tanto che, partendo, Parwez Zabihi, un consulente curdo per un agenzia di consulenza, mi salutò all’aeroporto, dicendomi:

C’è un detto curdo che dice: quando vieni la prima volta in Kurdistan, l’energia e la passione di questa terra ti spinge, poi, a ritornare nuovamente. E tu tornerai, credimi”.

E’ stata questa la mia prima esperienza, citizen all’ennesima potenza, forse da folli, forse valida, perché non c’è niente come l’esperienza sul campo per imparare.

Eppure a distanza di tempo, posso garantirlo: un’esperienza che mi ha arricchito profondamente.

P.s[ Alla fine non riuscii a ottenere la pubblicazione con il Corriere, per alcuni problemi interni alla redazione, o almeno così mi dissero, ma questa esperienza portò comunque dei frutti: i miei pezzi furono pubblicati da http://www.informazione.tv/ e da http://www.qcodemag.it/, mentre Radio Umbria mi invitò a partecipare al programma radiofonico “1200 secondi in compagnia di…..”, permettendomi di trovare un impiego alla redazione della web television per l’agenzia di stampa IPS a Roma, presso la FAO.

Non male, anzi…]

LINK AL CAPITOLO CONCLUSIVO, IL N° 8: https://www.duemondi.net/conclusione-il-futuro-del-giornalismo/