Il camion era in procinto di imbarcarsi sul traghetto che lo avrebbe condotto al porto di Bari.
Buio pesto.Un freddo pazzesco. 
Giusto qualche lampione a ridosso dell’acqua, sul molo di Igoumenitsa.
Insomma: una classica notte d’inverno fra le montagne greche.
In Iraq faceva più caldo.
Hajar, un ragazzo di 17 anni, non poteva immaginare tutto ciò, non poteva pensare che avrebbe sofferto così tanto e, mentre batteva i denti dal freddo, accucciato nel suo piccolo scomparto ricavato nel vano sotto la ruota di scorta del camion, osservava quell’oggetto dalla forma rotonda, fatto di gomma, sopra la sua testa e ripensava alla sua terra natia.
Era il 2000 e in Iraq le cose non andavano bene: Saddam Hussein, il dittatore di Tikriti, continuava a  governare imperterrito su tutto il territorio iracheno, le lotte interne fra sciiti e sunniti venivano soppresse con il sangue dalla forza selvaggia della dittatura e i curdi del nord, dopo anni di lotte e massacri, erano stati abbandonati e rilegati in un limbo di “autonomia” sotto il controllo del governo.
Erano indipendenti, ma da Baghdad giungeva solo il minimo necessario per andare avanti, giusto quello che bastava per sopravvivere.
Per chi nasceva curdo, non era facile andare avanti ogni giorno. La povertà e la fame erano compagnie quotidiane.
Hajar era figlio di una famiglia povera, una famiglia come tante altre e ,molto spesso, la sera per cena c’era solo una tazza di latte di capra: non c’era altro da mangiare.
Questa situazione e il desiderio di cambiare vita, cambiare mondo, scappare dalla fame e dalla dittatura, raggiungere il paradiso occidentale, avevano spinto il giovane Hajar ad abbandonare la famiglia per intraprendere un viaggio solitario verso la libertà e un futuro migliore.
Purtroppo uscire dall’Iraq era praticamente impossibile per vie legali, sopratutto se si era curdi e l’unica maniera per poter scappare era passando tramite il confine con la Turchia, tra le montagne a nord di Zahaka.
Era inverno, era pericoloso. Ma bisogna provare.
Hajar non avrebbe passato un altro giorno in Iraq. Neanche uno in più.
Non ce la faceva.
E così era partito, superando le montagne e i controlli della polizia doganale turca, che impedivano il passaggio a suon di proiettili a chiunque provasse la traversata.
Scampato miracolosamente alle milizie turche e arrivato a Siirt, riuscì tra mille espedienti e sotterfugi, ad arrivare fino Konya, nel sud della Turchia, dove aveva trovato un camion che riportava, sulle sigle di spedizione dei vari pacchi, cinque lettere magiche per lui e il suo sogno: Italy.
Era un camion diretto in Italia, per la precisione a Salerno, nella bassa Campania. Un viaggio infinito.
Ma ad Hajar non importava, quel camion era l’unica occasione per raggiungere il paradiso che aveva sognato fin da piccolo e doveva assolutamente salirci a bordo.
Da clandestino.
(FINE PRIMA PARTE)