“Ladies and gentlemen, we`d like you to sit back,

relax and enjoy the Ben Gooding Show”

 

Ben Gooding in uno show ad Harlem, NY

Ben Gooding in uno show ad Harlem, NY

Lo spettacolo si apriva sempre allo stesso modo, da Hong Kong a Venezia, fino a Rio de Janeiro, e non cambiava mai la scaletta. Diceva: “Questione di

scaramanzia”.

Il suo nome: Benjamin Gooding, afroamericano, originario del North Carolina, quando cantava sembrava di sentire il miglior Sinatra. Qualcuno gli diceva che era anche meglio, ma secondo me sono solo dicerie.

Per 30 anni però, fra il 1970 e il 1990, è stato uno dei cantanti jazz più in voga di tutta Manhattan.

Una volta, mi disse, fecero a botte due proprietari di un locale, per averlo come ospite. Alla fine andò in entrambi, non voleva fare un torto a nessuno dei due.

Oggi, sono passati tanti anni, Ben ha 81 primavere, vive in una casa di fronte Central Park, nell’Upper Westside di Manhattan ed è il mio coinquilino. O per lo meno lo è stato fino a oggi.

Infatti domani, Sabato 1 Marzo,  me ne andrò da questo appartamento e probabilmente non lo rivedrò mai più. Forse un bene, forse un peccato.

Purtroppo all’ennesimo scarafaggio dentro la mia stanza, non ho resistito più. In più il suo carattere, le sue regole assurde in casa, il suo modo arrogante di fare fino ai soldi della caparra che non verranno restituiti al sottoscritto. Ma non importa.

Mi trasferirò in una casa più vicina all’università, all’ombra di ciò che un tempo erano le Torri Gemelle: è questo ciò che conta.

Un articolo dedicato a Ben, il musicista di Columbus Circle

Un articolo dedicato a Ben, il musicista di Columbus Circle

Eppure, nonostante ne siano successe di tutti i colori e nonostante il naufragio della nostra convivenza, non so perché, ma sento la necessità di raccontarvi questa storia, la sua storia. Forse perché non capita tutti i giorni di poter scrivere di persone come Benjamin Gooding.

Il nostro Ben giunse negli anni 40 con la famiglia a New York, il padre lavorava alla costruzione dei nuovi grattacieli della metropoli, eppure il suo sogno non era quello di seguire le orme paterne: fin da piccolo aveva sempre voluto diventare un ballerino, un cantante, in poche parole, un performer.

Ma a quei tempi era dura per qualsiasi uomo di colore negli Stati Uniti, c’erano le leggi razziali, le differenze fra bianchi e neri, le proteste di piazza, figuriamoci se uno come lui avrebbe trovato posto nel mondo dello spettacolo, negli ambienti di classe del jazz.

Aveva però un talento innato, questo si: sapeva cantare, recitare, ballare, suonare la chitarra, perciò prende una valigia, saluta tutti, e decide, a 22 anni, di partire insieme alle sue qualità in cerca di miglior fortuna in giro per tutto il mondo.

Così viaggia, viaggia ancora, non si ferma mai, nei suoi racconti si può percepire la felicità (devono essere stati anni stupendi), va a Singapore, suona nel prestigioso Malaysia Supper Club, poi Kuala Lumpur, Bangkok, Hong Kong, Seul, Nord Africa, Australia, canta all’Abecorn Night club di Monaco di Baviera,  poi Inghilterra, Irlanda, Milano fino ad approdare a Rio de Janeiro, dove trascorre sei anni della sua vita, per raffinare ulteriormente le sue doti canore.

Pensate, si è addirittura esibito nel 1992 al Carnevale di Venezia.

Qualche giorno fa, mi disse : “In 20 anni, penso di aver girato tutto il mondo.”

Poi torna negli Stati Uniti e dal 1970, si aprono per lui le porte del successo come cantante jazz e, persino, come attore. La sua casa era il distretto di Harlem, il quartiere jazz di New York.

Mancie guadagnate da Ben in un giorno solo

Mance guadagnate da Ben in un giorno solo

Eppure la cosa che più lo faceva impazzire erano le luci di Broadway con su scritto a lettere cubitali “Ben Gooding Show, Tonight,9:00 p.m”.  Poi la sua piccola parentesi come attore.

Sebbene non sia riuscito a capire bene quanti film abbia girato,  so per certo che recitò con John Travolta nel 1981 nel film “Blowout”,  con Al Pacino nel 1993 nel film Carlito’s way e con Schwarzenegger nel film “Last action hero” e sebbene sia stato solo un personaggio secondario, di quelli che si legge in nome solo nei titoli di coda finali,  beh….tanto di cappello! Ma avete visto che nomi?

Lavorò anche in televisione, a Los Angeles, per programmi come “Love American Style” e al Ebony Theatre per lo show “Roar of the Greasepaint”.

Anche se, più di una volta, mi ha ripetuto che la cosa di cui va più fiero è essere stato parte del cast di ballerini nel film “Sweet Charity” nel 1969 insieme a un mostro sacro come Sammy Davis Jr.

Dice anche di essere parente di Cuba Gooding, il premio oscar per il film “Mi chiamano Radio”, ma la cosa un po’ mi puzza…

Questa è la sua storia, almeno la parte bella, perché una volta raggiunto il successo, è molto facile crollare. Cadere giù.

E’ quello che capitò a Ben.

Un brutto vizio e un carattere inciso con l’accetta lo portarono, con l’avanzare degli anni, sempre più lontano dai riflettori, sempre più lontano da quei palchi che tanto amava, fino a ritrovarsi nella metropolitana di New York a cantare per i passanti pur di guadagnarsi qualcosa.

“Un tempo lo facevo come passatempo, quando mi annoiavo e volevo conoscere qualche bella signora, ora ero costretto a farlo per vivere.”

Armato di cassa, stereo e microfono, si esibiva al Columbus Circle, sulla 59th, tutti i giorni ed era talmente bravo, che riusciva a tornare ogni sera a casa con delle buone mance, una volta un signore gli regalo addirittura 100 dollari.

Ma non era la stessa cosa. La gloria era finita.

Ben Gooding, oggigiorno

Ben Gooding, oggigiorno

Dicono sia il sogno americano al contrario, quello beffardo, quello che prima ti illude e poi ti inghiotte, riportandoti con i piedi per terra di colpo.

Dalle stelle fino al dimenticatoio, di lui rimane solo qualche citazione in qualche vecchio libro di Storia della musica, nulla più.

“La vita ha degli strani copioni, direi, Iacopo..”

Una sera, quando gli dissi che un mio amico lo conosceva, perché aveva letto di lui su un libro di musica jazz, dove veniva definito come una leggenda moderna del jazz anni 80, la sua faccia non sembrò felice. Non me lo diede a vedere, ma io intuì tutto il suo rammarico. La sua malinconia.

Oggi di lui rimane questa casa di fronte Central Park, che sembra un museo alla sua persona, piena di foto e ricordi della sua carriera e dei suoi viaggi in tutto il mondo, mentre un odore pungente di Voltaren impregna le stanze:purtroppo gli acciacchi dell’età si fanno sentire. Vive da solo, ma affitta stanze agli studenti; solo ora ne comprendo il motivo.

Una famiglia allo sfascio, ha avuto tante donne, ma nessuna fu veramente sua, il telefono squilla spesso, amici e parenti che lo chiamano per sapere come sta, eppure quel telefono non squilla più come un tempo. Quando erano gli agenti a chiamarlo e a proporgli un nuovo ingaggio. Uno dopo l’altro.

Ogni tanto, di nascosto dai miei sguardi, mi è sembrato vederlo fissare quel telefono, come se si aspettasse una chiamata da un momento all’altro. Almeno un’ultima volta. Ma niente.

Eppure, nonostante tutto, sebbene l’epilogo della sua vita sia stato così amaro per lui, mentre chiudo questo pezzo, mi ritorna in mente una frase che avevo sentito in un film qualche tempo fa, credo “Notte prima degli esami”, magari non un granchè come film, ma penso riassuma a pieno l’essenza di questa storia:

“Non importa cosa trovi alla fine della corsa, ma quello che hai provato mentre correvi”.

Credo che, tutto sommato, sia stata questa, la vita di Benjamin Gooding…